Scacciavillani: Crisi, il problema non è l’euro. Il ritorno alla lira? Sarebbe una catastrofe

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Noi italiani non dovremmo andare in Europa a sbattere i pugni sul tavolo, ma dovremmo piuttosto sbatterceli in testa. In Italia si è scatenato l’odio collettivo e il tiro al bersaglio trasversale verso il Fiscal Compact (FC) che è invece una delle assicurazioni sulla vita, un antidoto per il voto di scambio e per i conflitti generazionali. Nel FC c’è scritto che in un anno lo Stato non può spendere più del 3% di quello che guadagna, cioè non può fare più del 3% di debiti l’anno. Campare al di sopra delle proprie possibilità è immorale ed anti-economico. Non è giusto lasciare ai posteri le cambiali della nostra ripresa. Noi italiani siamo sempre alla ricerca di capri espiatori e scorciatoie, ma la verità è che la colpa della nostra crisi è tutta nostra e se vogliamo tirarcene fuori dobbiamo fare noi dei sacrifici. La corruzione, le mafie, il clientelismo, l’alto costo dell’energia, la carenza di infrastrutture, la saturazione dei tribunali, il carico fiscale sul lavoro, la mancanza di meritocrazia, l’instabilità politica e l’inefficienza della burocrazia sono i nostri problemi, non l’Euro. Ed in questo cupo scenario hanno buon gioco cialtroni e demagoghi a salire su palchi e tribune elettorali, ergendosi a mò di novelli tribuni della plebe, gettando fumo negli occhi delle persone che troppo spesso hanno rinunciato ad informarsi per conoscere il mondo che li circonda, approfondendo i temi dibattuti sulla loro pelle. “Il liberale è il nemico dichiarato dei demagoghi di ogni colore”, scrive Mises in “Liberalismo”. Ed ancora, “Il liberale proprio perché nelle scelte politiche privilegia la riflessione razionale e l’analisi oggettiva delle condizioni esistenti non può che combattere gli irrazionali provvedimenti proposti dai demagoghi. Questi ultimi, infatti, scelgono la vita più facile, quella che consiste nel sacrificare il futuro all’utile momentaneo, nel rendere, ad esempio, più ricche le generazioni presenti grazie all’escamotage di far pagare il conto a quelle future”. “Per smontare i deliri di chi vorrebbe l’Italia fuori dall’euro, in base alla falsa equazione per la quale il ritorno alla lira si tradurrebbe in un aumento di ricchezza, basta una semplice domanda da rivolgere ai non addetti ai lavori. Immaginate che oggi venisse annunciato il referendum sul ritorno alla lira. Voi continuereste a tenere i vostri risparmi in una banca italiana rischiando di trovare i vostri risparmi trasformati in carta straccia? Se la risposta è no, sappiate ch neanche gli altri sono imbecilli”. Parla fuori dai denti Fabio Scacciavillani, economista molisano con dottorato di ricerca in Economia all’Università di Chicago, oggi Chief Economist al Fondo d’investimenti dell’Oman, dopo una carriera tra Fondo monetario internazionale a Washington, Banca centrale europea a Francoforte e Goldman Sachs a Londra. Nonostante lei manchi dall’Italia da oltre venti anni, non ha mai reciso il cordone ombelicale con la Penisola e col Sud, coltivando un pizzico di ottimismo per il futuro: quale crede siano i due principali motivi per vedere il bicchiere mezzo pieno? Il bicchiere è nonostante tutto mezzo pieno perché l’Italia è agganciata all’Unione Europea. Pertanto beneficia di un fondamentale ombrello di protezione grazie all’euro e alla Bce. Inoltre la Ue ci impone di fare delle riforme che una classe politica tra le più mediocri del globo non sarebbe in grado nemmeno di concepire. Purtroppo il bicchiere rimane mezzo vuoto perché quella stessa classe politica se non viene messa alla frusta dal vincolo esterno e non è in grado di agire e rimane a rimestare acqua putrida in una palude di chiacchiere vacue. In 20 anni non si sono fatte riforme di rilievo, anzi laddove si è operato ne sono derivati peggioramenti esiziali, dalla giustizia al mercato del lavoro che rimane un misto di socialismo caraibico e tribalismo sub-sahariano. Oggi, in Italia, le frange che difendono a spada tratta l’uscita dall’euro ne sbandierano i supposti effetti salvifici della svalutazione. Come smontarli in tre mosse comprensibili ai non addetti ai lavori? Per smontare i deliri dei lunatici, basta una mossa sola, anzi una semplice domanda, ai non addetti ai lavori. Immaginate che oggi venisse annunciato il referendum sul ritorno alla lira. Voi continuereste a tenere i vostri risparmi in una banca italiana rischiando di trovare i vostri risparmi trasformati in carta straccia? Se la risposta è no, sappiate ch neanche gli altri sono imbecilli. Il giorno stesso dell’annuncio si formerebbero file chilometriche fuori dalle banche per ritirare i soldi. Tutte le banche di conseguenza, nel giro di tre giorni fallirebbero, le imprese senza credito non potrebbero pagare gli stipendi e sarebbero costrette a licenziare in massa. Questo sarebbe solo l’inizio. Perché cosa altro accadrebbe? Il governo nel giro di una settimana non sarebbe in grado di pagare gli stipendi o i fornitori perché non troverebbe chi fa credito e tutte le imprese che avessero emesso obbligazioni andrebbero in bancarotta. Le importazioni di materie prime e di manufatti verrebbero interrotte di colpo perche’ nessuno straniero venderebbe alcunché ad un italiano se non in contanti. In sostanza un bombardamento a tappeto del territorio italiano causerebbe danni economici infinitamente minori. Uscita dall’euro= svalutazione = rilancio di export e Pil: queste sono alcune delle pericolose equazioni diffuse in questi mesi da qualche politico populista. Non c’è il rischio che facciano presa su una popolazione affamata dalla crisi? In tutti i periodi di crisi emergono mestatori o truffatori con ambizioni politiche che spacciano, attraverso slogan martellanti, soluzioni strampalate al pubblico più ignorante e terrorizzato. In Italia, come evidenziato dai test internazionali, esiste un bacino elettorale formato in gran parte da analfabeti di ritorno che diventano il terreno di caccia di chi sfrutta la disperazione, esattamente come i Vannoni o i Di Bella. Questo bacino si informa esclusivamente attraverso la Tv non essendo in grado di leggere un testo anche semplice. Pertanto i talk show per telelobotomizzati all’inseguimento dell’Auditel hanno dedicato un spazio sproporzionato a una variegata corte dei miracoli anti euro. Si sostiene che se non pagassimo più i nostri debiti e uscissimo dall’Euro diverremmo ricchi come la Germania; ma la ricchezza di un paese si può creare artificialmente in tipografia? E’ stato sconcertante scoprire che esiste un numero impressionante di persone convinte che il numero di banconote sia sinonimo di ricchezza. Ricordano un mio compagno delle elementari che ricalcava su un foglio di quaderno la banconota da mille lire e la portava al negozio di caramelle. Se bastasse stampare moneta per produrre ricchezza non ci sarebbe bisogno di imporre tasse, anzi, non ci sarebbe nemmeno bisogno di lavorare. Si assumerebbero degli immigrati per mandare avanti la Zecca e tutti quanti faremmo la vita da nababbi. Ovviamente si tratta di fenomeni generati da scoppi di follia collettiva che purtroppo prendono piede quando la gente si trova in condizioni estreme. Un po’ come le farneticazioni sulle guarigioni miracolose quando nel Medio Evo impazzava la peste. In cinque anni il debito totale in Cina, secondo l’agenzia Fitch, si è gonfiato fino a raggiungere il 220 per cento del Pil a fine 2013. Che prospettive ci sono per il futuro prossimo? Il settore finanziario in Cina rappresenta un’enorme vulnerabilità per l’economia mondiale e dei paesi emergenti in particolare. Al momento nessuno ha il polso della situazione, forse nemmeno la Banca centrale cinese che finora ha tappato qualche falla ma non ha aggredito il problema. Persino quando parlo con i maggiori analisti finanziari cinesi non sono in grado di fornire un quadro senza nebbia. Quello che mi sento di poter dire lo riassumo con un’analogia: il bubbone è infetto, le autorità cinesi, se agiscono in fretta, hanno bisturi affilati e scorte di disinfettante per curarlo, ma non hanno anestetico, per cui non sara’ un’operazione indolore. Visto che i fondi per ripulire il sistema bancario ombra sono le riserve in Treasury Bills della Banca centrale e di altre entità pubbliche le ripercussioni non risparmieranno Wall Street e l’Europa. Capita di sentire il circuito mediatico, animato da improbabili economisti, citare premi Nobel quali Krugman nel tentativo di validare le loro singolari teorie per spiegare l’origine della crisi. Che cosa ne pensi? Dai tardi anni 90 il progresso tecnologico ha rallentato (fenomeni come internet e la telefonia mobile andavano esaurendo la spinta propulsiva) e per mantenere i tassi di crescita, la Fed ha surrettiziamente stimolato l’economia con flussi di liquidità e ha continuato a farlo in successive ondate dopo l’11 settembre, fino al terzo quantitative easing che solo adesso viene gradualmente attenuato. Questa liquidità si è scaricata sul prezzo delle attività finanziari e sulla leva delle banche e dei fondi creando una successione di bolle, l’ultima delle quali è tuttora in piena espansione. Finché l’economia non crescera’ sulle solide gambe della produtttivita’ e dell’innovazione le ricette gli apprendisti stregoni basate su stimoli monetari produrranno ulteriori sconquassi. A monte di queste riflessioni c’è un tema cruciale: la scuola che da decenni non riesce più ad assolvere al ruolo di fornire strumenti per interpretare la realtà in cui viviamo. Come ne usciamo? Il sistema educativo italiano non fornisce competenze e non prepara né alla vita né al lavoro. Era un apparato obsoleto volto a inculcare nozioni inutili già quando nacque con Gentile ed è vieppiù peggiorato dall’aspirazione di trasformarlo in un veicolo di indottrinamento a spese del contribuente. Ha prodotto una classe dirigente (non solo politica) intrisa di ciarpame filosofico-letterario male assortito. La scuola va rifondata in modo impietoso: vanno messe in competizione istituzioni pubbliche e private, il valore legale del titolo di studio va abolito e le famiglie devono ricevere un voucher da poter spendere dove meglio credono e senza guardare in faccia nessuno. Ai maestri e professori migliori vanno conferiti ruolo, carriera, status, poteri disciplinari sugli studenti, nonché stipendio adeguato, quantomeno alla pari con quelle figure professionali che mandano avanti un’azienda. Alle scuole va riconosciuta l’autonomia di assumere i migliori, non chi ha scalato lentamente graduatorie da kolkoz sovietico. Liberalizzare l’Italia vuol dire offrire al consumatore-cittadino la possibilità di scelta sulla base di più offerte, significa consentire al giovane di poter entrare nel mondo del lavoro subito e non dopo una corsa a ostacoli fino ai 30 anni e oltre. Lei come spiegherebbe la convenienza del sistema di libero mercato, in primis per i “figli di nessuno”? L’Italia è un paese dove soprattutto nelle fasce meno istruite è diffusa la convinzione che la cifra del successo sia la furbizia che si concretizza nell’espediente, nel servilismo e nell’illegalità diffusa. Questa subcultura lazzaronesca ha prodotto nel tempo gli Andreotti, i Craxi, i Berlusconi, i Bersani, i Bossi, i Formigoni, e da ultimo il guitto-peronismo di Grillo. I migliori abbandonano questo circo della mediocrità e se ne vanno all’estero, mentre chi resta crede di svoltare invocando ancora maggiori protezioni e privilegi statali. Nella realtà questi ossi gettati ai lazzaroni servono attraverso il voto di scambio a mantenere i privilegi di chi ingrassa sul serio con i miliardi forniti dalla greppia pubblica (vedasi l’ultimo caso dell’Expò). Non e’ facile spiegare a chi non ha mai conosciuto che un sistema marcio come funzionano le cose nei paesi civili. Ma se non si riduce in modo drastico il perimetro dello Stato l’Italia rimarrà un sistema feudale in cui una pletora di servi della gleba applaudono giulivi ai loro signorotti convinti che quello sia il migliore dei mondi possibili. Twitter: @antonluca_cuoco


Salernitano, nato nel 1978, laureato nel 2003 in Economia Aziendale, cresciuto tra Etiopia, Svizzera e Regno Unito. Dal 1990 vive in Italia: è un “terrone 3.0″. Si occupa di marketing e comunicazione nel mondo dell’elettronica di consumo tra Italia e Spagna. Pensa che il declino del nostro paese si arresterà solo se cominceremo finalmente a premiare merito, concorrenza e legalità, al di là di inutili, quando non dannose, ideologie. È nel Direttivo di Italia Aperta, socio della Alleanza Liberaldemocratica e sostenitore dell’Istituto Bruno Leoni.