“Se è doveroso e sacrosanto definirci antifascisti perché il fascismo tolse la libertà agli italiani, fece le abominevoli leggi razziali e portò l’Italia in una guerra rovinosa in cui fu sconfitta da chi in Europa occidentale si oppose ai regimi nazifascisti – per inciso, da nazioni guidate da due statisti esponenti della destra come Winston Churchill e Charles De Gaulle – allo stesso modo se si è sinceri democratici bisogna definirsi anticomunisti. La reticenza su questo punto è una spia preoccupante. Nessuno lo ha mai chiesto ad Elly Schlein e sarebbe ora che qualche giornalista prendesse coraggio per porle questa domanda”. Così il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, in un intervento sul Corriere della Sera. “In Italia non c’è stata una dittatura comunista ma c’è stato un partito che ha operato a lungo per instaurarla, finanziariamente e politicamente legato all’Unione Sovietica di Stalin e Breznev, guidato da un leader stalinista”, osserva.
“Queste questioni sono state sollevate da un’ampia storiografia ma anche da parti politiche: l’esponente socialista Claudio Martelli condusse una coraggiosa polemica proprio sulla figura di Togliatti e le sue responsabilità”, prosegue Sangiuliano, sottolineando poi come l’Italia “non ha subito una dittatura comunista perchè nella logica degli accordi di Yalta finì nell’area di influenza degli Stati Uniti che per fortuna hanno trattenuto una presenza militare. E perchè il leader democristiano Alcide De Gasperi ruppe con il Pci e seppe organizzare un forte schieramento dei moderati. Solo alla meta’ degli anni Settanta, Enrico Berlinguer intraprese (e di questo gli va dato atto) un percorso per un totale distacco dall’Urss e la costruzione di quello che definì l’eurocomunismo. Ma ci volle la caduta del Muro di Berlino e la decisione di cambiare nome al Pci per far riconoscere agli esponenti di quel partito le responsabilità materiali e morali della loro storia politica”, conclude il ministro.