San Gennaro, l’omelia di Sepe: Esiste ancora Napoli dal “core” grande?

180
In foto il cardinale e arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe

“C’è da chiedersi: esiste ancora la Napoli dal ‘core’ grande e sincero?”. Lo ha detto il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, durante l’omelia per la solennita’ di San Gennaro, patrono della citta’. “A noi cittadini della Napoli di oggi e’ dato di dover rispondere a questa domanda – ha affermato – con verita’, quindi, con realismo, con onesta’ e con coraggio, senza lasciarci prendere da una falsa nostalgia dei tempi che furono”. “Dobbiamo sapere distinguere dagli eccessi di un folklore che tingeva e calcava la mano per trasformare a tinta rosa tutta la realta’ intorno – ha aggiunto – dalle estremizzazioni di chi pensa che sia inarrestabile la deriva della Napoli dei nostri giorni”.

IL testo integrale 

Carissimi,

            ci siamo riuniti per confermare profonda devozione al nostro Santo Patrono, del quale oggi ricordiamo l’anniversario del martirio avvenuto nel 305 presso Pozzuoli, secondo una consolidata tradizione.

            L’atto di fede che compiamo partecipando a questa liturgia eucaristica é un inno di ringraziamento al Signore al quale esprimiamo la nostra gioia e riconoscenza per averci dato un segno della sua benevolenza attraverso la prodigiosa liquefazione del Sangue del nostro Martire, come avviene ormai da tempo immemorabile in questo giorno dedicato alla sua festa liturgica.

Oggi è giorno di festa per Napoli, per la Campania, per la Chiesa intera. Nessuna città come Napoli ha il senso della festa. E nessuna festa come quella del Santo Patrono Gennaro riesce ad esprimere l’anima di una Città che non vuole perdere questa occasione per pregare e ritrovarsi come comunità che insieme riflette sul proprio cammino.

            Del resto, la preghiera nutre i nostri sogni e la nostra speranza e allontana la rassegnazione, insegnandoci a vivere bene, a essere realisti, a scegliere la strada del fare.

            In realtà, quello di oggi è l’incontro con il Fratello maggiore, con il familiare saggio con il quale ci si apre, ci si confida e si interloquisce per raccontare i fatti di casa, i problemi della famiglia, le questioni preoccupanti, per avere un consiglio, un incoraggiamento, una guida, un accompagnamento.

            Questo è proprio del rapporto storico e del legame di sangue che i Napoletani hanno con San Gennaro, che si è sempre fatto attivamente e prodigiosamente presente nelle vicende tragiche di Napoli.     Ed è a lui che si rivolgono i napoletani per rappresentare i propri bisogni, le ansie e le speranze.

            Abbiamo bisogno, dunque, di queste ricorrenze e di questo incontro con il Santo per fare memoria, ma anche per fare futuro.

            Fare futuro, cioè impegnare le mani e il cuore per scrivere pagine nuove della storia che verrà, quella che siamo chiamati a costruire stando accanto al nostro Patrono Gennaro, in spirito di umiltà e di fedeltà.

            Fare futuro, ossia progettare il nostro domani, come singoli e come comunità, significa innanzitutto capire e vivere bene il nostro presente in cui, anche senza che nessuno ce lo chieda, siamo invece interpellati e chiamati, uno a uno, ad esercitare le nostre responsabilità, vorrei dire, anzi, la nostra umanità.

            Questo impegno vogliamo affermare con forza, ancora una volta oggi, davanti al Santo Patrono, ben sapendo che sono tanti i momenti e le occasioni in cui tale affermazione, da tanti di noi, viene tragicamente smentita, fino a farsi addirittura irridente.

            C’è da chiedersi: esiste ancora la Napoli dal “core” grande e sincero?

A noi, cittadini della Napoli di oggi, è dato di dover rispondere a questa domanda: con verità, quindi con realismo, con onestà e con coraggio, senza lasciarci prendere da una falsa nostalgia dei tempi che furono.

            Dobbiamo saper distinguere dagli eccessi di un folklore, che tingeva e calcava la mano per trasformare a tinta rosa tutta la realtà intorno, dalle estremizzazioni di chi pensa che sia inarrestabile la deriva della Napoli dei nostri giorni.

            Purtroppo, il male che fanno a Napoli i sicari di odio e di violenza è senza limiti. Essi, in effetti, tentano di uccidere sul nascere proprio la possibilità di ‘fare futuro’, quindi di guardare avanti, di porre le basi per una vita ordinata, per la crescita di una comunità attenta ai valori fondamentali e, quindi, naturalmente orientata al bene comune.

            La violenza è il primo baluardo, il primo grande ostacolo che si pone su questa strada. Essa genera paura, insicurezza; favorisce connivenza e complicità e ogni forma di comportamento che va contro il bene comune.

Certo, a nessuno si può chiedere di essere eroe anche perché chi tradisce Napoli alle spalle, essendosi arruolato nelle formazioni della violenza organizzata e no, sa scegliere con lucida protervia i lati deboli.

            E, occorre dirlo, alla fine Napoli si trova a vivere pienamente una condizione che toglie libertà e mina alla base i diritti dei cittadini, rendendo la loro vita difficile, per non dire proibitiva.

            C’è indubbiamente a monte, ed è evidente, un problema di uguaglianza sociale. Purtroppo, tanti ragazzi, spesso ancora bambini, abbandonati a se stessi, scelgono come “casa” comune del loro svezzamento sociale la strada che é ricettacolo di tutti i pericoli e di tutte le insidie.

            Quella strada che, a Napoli più che altrove, è spesso non altro che terreno minato, la bottega di primo apprendistato per la malavita.

            Si finisce per strada, comunque, non per caso o, peggio, per una sorta di subdola e velenosa “vocazione”, ma per evadere la scuola, per mancanza di lavoro, per scelta indotta da una famiglia sempre più distratta e afflitta da un deficit di valori e di risorse economiche.

            La strada, nel suo aspetto peggiore, è il punto di discarica dove si depositano e vanno disperse tutte le forme di una legalità spesso poco sentita e non praticata abbastanza e fino in fondo.

            Si finisce in strada, prima di tutto, come dicevo, per un’accentuata diseguaglianza sociale che ovviamente finisce per pesare di più sui deboli e su coloro che cercano il loro primo spazio vitale nella società. Quando ai giovani si chiudono le porte del lavoro o dello studio, è inevitabile pensare alla gravità delle conseguenze, e non solo quelle immediate, perché è questo l’ingranaggio che perpetua la “catena” del disagio e del malessere sociale.

            Allora c’è da domandarsi: come salvare i nostri giovani? Come convincerli a non lasciare Napoli e il Sud come hanno fatto quei circa 70mila giovani emigrati nel 2017? Quale futuro per loro e per la comunità?

            Di fronte a noi, più che mai, vi è il dovere di prendere atto che ogni misura non adottata per contrastare il male si trasforma in una misura in suo favore, in un “lasciapassare” che rende complice e colpevole chiunque abbassi la guardia per incapacità, o ignavia, o anche per semplice miopia se non per irresponsabilità.

            Il lavoro negato, l’istruzione mancata, i servizi sociali inadeguati e il diritto alla salute insoddisfatto significano dar via libera a tutto ciò che alimenta le organizzazioni criminali ed è contro la persona e il futuro di questa città.

            Non a caso proprio i più giovani vengono a trovarsi sotto tiro. E’ da qui che prende avvio quello che, negli obiettivi del malaffare e di ogni tipo di camorra, vecchia e nuova, è l’attacco mirato e continuato su Napoli.

            Ogni banco vuoto – che segnala il tristissimo fenomeno dell’evasione scolastica- lascia pensare a quei bambini avviati a delinquere, alle baby- gang che si trovano a prendere “lezioni” dalla strada sui “modelli” che regolano le gerarchie del crimine.

            Ormai sappiamo bene come funziona questo meccanismo tanto possibile quanto crudele. La cronaca continua a offrire dovizie di particolari raccapriccianti.

           

            Ma non basta più lo sdegno. Occorre mettere mano, con coraggio, a ciò che può portare a una reale e concreta inversione di tendenza. Occorre poter pensare di riempire di nuovo, uno a uno, quei banchi vuoti dell’evasione e fare in modo che anche i ‘vuoti sociali’ possano essere colmati da un cambiamento morale e sostanziale che sia espressione di una comunità rinnovata e sana.

            E’ necessario creare luoghi di aggregazione o potenziare quelli già esistenti; favorire sviluppo e occupazione; agevolare e sostenere le iniziative lavorative e professionali; in altre parole, promuovere e accompagnare ogni presenza positiva e virtuosa sul territorio, fino ad occuparlo per togliere spazio e respiro a chi intende utilizzarlo per altri fini.

            Non è un compito semplice, ma neppure si parte da zero, perché la rete di solidarietà che Napoli, nonostante tutto, ha steso a sua difesa è già vasta. In tutti noi la speranza è tanta e quella che si rende ulteriormente necessaria ci viene dalla nostra fede.

            Il sangue sciolto di San Gennaro è segno di vita, di speranza, di futuro.

            San Gennaro è stato sempre vicino ai suoi figli napoletani che lo hanno accolto e accolgono come amico, come “parente”, come uno di loro.

            Per questo, anche noi, oggi, mentre ci sentiamo interpellati a scrivere una nuova pagina della nostra città e della nostra regione, ci rivolgiamo a lui, Martire della fede, perché insegni anche a noi il coraggio della speranza che nessuno al mondo potrà mai togliere dal nostro cuore napoletano.

            A lui, che venne arrestato, carcerato e decapitato per essere andato a fare visita ai suoi amici detenuti a Pozzuoli, abbiamo affidato il nuovo anno pastorale che vivremo guidati dall’Opera di Misericordia “Visitare i Carcerati”.

            Da Gennaro ci viene una testimonianza di quell’amore che è più forte di ogni paura e rassegnazione. Di questo stesso amore ha urgente bisogno la nostra amata Napoli per ritrovare la sua grandezza e dare fiducia a quanti hanno scelto di abitarla, viverla e amarla.

            Dio benedica tutti Voi; benedica Napoli e la Campania

            San Gennaro ci protegga   e    ‘A Maronna c’accumpagna!