Roma, 17 maggio (AdnKronos) – Rivelazioni, incontri segreti e materiale compromettente. E’ quanto ruota intorno al ‘Russiagate’, l’inchiesta dell’intelligence americana relativa a presunte intrusioni russe nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi che coinvolge anche il presidente Donald Trump. Le prime indiscrezioni emersero già durante la campagna elettorale, quando il New York Times rese nota l’esistenza di due indagini condotte dall’Fbi durante l’estate riguardanti sia Hillary Clinton che il capo della campagna di Trump Paul Manafort. Tuttavia il Bureau, su richiesta del Dipartimento di Giustizia, acconsentì a tenere congelate le indagini visto l’approssimarsi delle elezioni. Seguirono nuove rivelazioni su ripetuti contatti tra i consiglieri di Trump e l’intelligence russa, che portarono alle dimissioni dell’allora consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn. Notizie puntualmente smentite dal presidente statunitense e bollate più volte come “false informazioni”, che oggi tornano sotto i riflettori per la pubblicazione di un memorandum che potrebbe essere esplosivo per il futuro della Casa Bianca. Vediamo, nel dettaglio, le principali tappe del Russiagate.
L’INCHIESTA DELL’INTELLIGENCE – Il ‘Russiagate’ affonda le sue radici nel rapporto dei servizi segreti americani che ha accusato il leader russo Vladimir Putin di aver “ordinato” una campagna per influenzare le elezioni americane a favore dell’allora candidato repubblicano Donald Trump. Secondo il rapporto messo a punto dalle agenzie di intelligence americane la campagna puntava inizialmente a minare la fede del pubblico nel processo democratico, a “denigrare” la candidata democratica Hillary Clinton e a danneggiare la sua futura presidenza. Successivamente la Russia ha “sviluppato una chiara preferenza per il presidente eletto Trump”, si legge nel rapporto elaborato da Cia, Fbi e il Direttore della National Intelligence.
Le tre agenzie hanno concluso che i servizi russi di intelligence sono penetrati in numerosi sistemi informatici legati ai partiti politici americani e hanno trasmesso le email trafugate a Wikileaks. La campagna russa è andata oltre la pirateria informatica, con propaganda sulle piattaforme di news controllate da Mosca e un estensivo uso dei social media e di “trolls” per ampliare la discordia elettorale negli Stati Uniti e incoraggiare l’opposizione alla Clinton. Malgrado questi sforzi, i russi erano convinti che sarebbe stata la Clinton a vincere le elezioni e già si preparavano a minare la sua legittimità dopo la vittoria. Secondo il rapporto, “i blogger pro Cremlino avevano già preparato una campagna su Twitter #DemocracyRip” (democrazia riposa in pace) da diffondere dopo le elezioni, che è stata però messa da parte quando ha vinto Trump.
IL CASO FLYNN – Nel giorno dell’insediamento di Donald Trump arrivò la conferma di un’indagine condotta dall’ Fbi e da altre agenzie di intelligence
su alcuni dei suoi principali consiglieri, tra i quali l’ex presidente della sua campagna Paul Manafort, per sospetti rapporti con la Russia e con l’ex dirigenza filorussa ucraina. Tale inchiesta, basata su intercettazioni e transazioni finanziarie, ha avuto poi risvolti inaspettati. Nel febbraio scorso l’allora consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn fu costretto a dimettersi per aver mentito su rapporti intrattenuti con funzionari russi, con i quali avrebbe discusso della revoca delle sanzioni, prima dell’insediamento del nuovo presidente americano.
Secondo quanto ricostruito dal ‘Washington Post’, Flynn avrebbe parlato di una possibile revoca delle sanzioni contro Mosca con l’ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, il 29 dicembre scorso, lo stesso giorno in cui il presidente uscente Barack Obama annunciò nuove misure restrittive per le interferenze russe nel voto di novembre. In base al Logan Act, una legge federale risalente al 1799, è illegale per un privato cittadino – e tale era allora Flynn – negoziare con funzionari di governi stranieri che abbiano contenziosi aperti con gli Stati Uniti. Non solo: la ‘colpa’ dell’ex consigliere per la Sicurezza nazionale sarebbe anche quella di aver negato di aver parlato del tema, smentito successivamente da una fonte dell’amministrazione.
La questione è tornata ora sotto i riflettori dopo che il New York Times ha pubblicato un memorandum che potrebbe essere esplosivo per il futuro della Casa Bianca. Si tratta degli appunti raccolti dall’ex direttore dell’Fbi James Comey dopo un incontro con Trump, in cui il presidente statunitense gli avrebbe chiesto di insabbiare l’inchiesta su Michael Flynn a pochi giorni dalle sue dimissioni. La Casa Bianca ha immediatamente smentito la notizia e il contenuto del memo affermando che non è “un veritiero o accurato resoconto di quella conversazione”. Nel comunicato della Casa Bianca Trump “espresse più volte la sua opinione che il generale Flynn sia una brava persona” ma “non ha mai chiesto a Mr Comey né a nessun altro di chiudere nessuna inchiesta, compresa quella che coinvolge il generale Flynn”.
INFORMAZIONI TOP SECRET – L’ennesimo tassello del Russiagate è invece basato sulle recenti indiscrezioni diffuse dal Washington Post. Secondo il giornale statunitense il presidente Trump avrebbe “rivelato informazioni top secret al ministro degli Esteri russo e al suo ambasciatore” durante un incontro avvenuto alla Casa Bianca, la settimana scorsa. Le informazioni trasmesse dal presidente ai russi sarebbero altamente riservate e riguarderebbero lo Stato Islamico. Si tratta, scrive il Washington Post, di “informazioni che sono state fornite a Trump da un partner alleato che però ne ha limitato la diffusione al solo governo degli Stati Uniti”. Secondo i funzionari, il partner non avrebbe autorizzato l’amministrazione statunitense a divulgare tale informazioni alla Russia. Agendo diversamente, Trump avrebbe “messo in pericolo la cooperazione con un alleato fondamentale”. Nell’articolo si spiega che dopo l’incontro di Trump, i funzionari della Casa Bianca avrebbero cercato di contenere i danni e correre ai ripari, mettendo in moto la Cia e l’Nsa.