Ritorno alla Serenissima

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È trascorso poco meno di un anno dal quando, il 15 ottobre del 2016, ci eravamo intrattenuti sull’ascesa e il declino della Repubblica di Venezia. Nel frattempo, l’economia del Bazar ha dato segni di risveglio. Tuttavia, persistendo il ritardo di crescita torniamo sulle orme della Serenissima.

La maggior parte delle organizzazioni sarebbero felici di prosperare per secoli, come ha fatto la Repubblica di Venezia. Dal 697 al 1797, l’acume tecnologico, la posizione geografica strategica e l’anticonformismo, tutte peculiarità di Venezia, si intrecciarono tra di loro a vantaggio della prosperità della Serenissima. Ma quando il cambiamento arriva improvviso, può trasformare i punti di forza in debolezze e spazzare via perfino storie di successi millenari.

L’abilità tecnologica militare e la posizione centrale rispetto alle principali vie commerciali del tempo davano a Venezia molti vantaggi. L’Arsenale, l’avanzata fabbrica navale di munizioni che aveva anticipato di molti secoli i metodi manifatturieri di produzione in linea, era il cuore pulsante dell’industria navale di Venezia. A partire dal tredicesimo secolo, l’Arsenale promosse la creatività e spronò l’innovazione e l’imprenditorialità nella costruzione delle proprie galee.

La posizione geografica della città la aiutava a difendersi dagli invasori sia da terra sia dal mare. Inoltre proprio la posizione, caratterizzata da una serie di isole in una laguna paludosa, favorì lo sviluppo di un’economia (allora inusuale) basata sugli scambi commerciali e prestiti di denaro, in quanto non c’era sufficiente terra per sviluppare l’agricoltura. Infine, la sua posizione al vertice del Mar Adriatico le permetteva di essere un hub commerciale nevralgico, creando una connessione tra l’Oriente e l’Occidente attraverso il Mar Mediterraneo.

Se, come scriveva Michael Porter, il vantaggio competitivo trae origine da come “le attività si adattano e si rinforzano l’una con l’altra… creando una catena tanto più forte quanto più è forte la sua connessione”, allora l’agibilità strategica era una caratteristica che la Repubblica di Venezia possedeva alla grande.

Come in molte altre storie di successo, Venezia raggiunse un punto nel quale si focalizzò molto di più sullo sfruttamento che sull’esplorazione: i mercanti di Venezia seguivano strade verso il successo già battute. Gli imprenditori sceglievano di non spostarsi dai tradizionali sentieri; le pratiche stabilite e preferite diventarono più popolari dell’esplorazione e della ricerca. I mercanti intrapresero il gioco dell’innovazione incrementale, focalizzandosi sull’efficienza e sull’ottimizzazione. Determinati ad accrescere rapidamente le proprie fortune, spingevano sull’acceleratore piuttosto che testare nuovi e più impervi percorsi.

Il fatto è che verso la fine del sedicesimo secolo il mondo stava cambiando a tal punto da rendere Venezia meno rilevante. Il focus dell’Arsenale sulle galee aveva senso quando il Mediterraneo era la più importante rotta commerciale. Alessandro Barbero, professore di Storia Medievale all’Università del Piemonte Orientale, sottolinea che la galea rimase ancora per lungo tempo la nave preferita dei navigatori veneziani, ma l’invenzione dei galeoni consentì di attraversare l’Atlantico per creare nuove rotte commerciali che non passavano attraverso l’Adriatico.

Quell’epoca di esplorazioni innescò il declino di Venezia. Un grande sviluppo tecnologico – navi che potevano resistere in mare per mesi o anche anni – indebolì il vantaggio competitivo di Venezia e l’importanza strategica delle sue competenze. La diffusione del galeone comportò per Venezia un improvviso svantaggio a causa della sua posizione all’estremo nord del Mar Adriatico. Inoltre, il suo Arsenale non era più all’avanguardia nel campo della tecnologia navale. L’importanza economica di Venezia venne poi bruscamente ridimensionata dall’invasione napoleonica, portando così l’impero veneziano alla fine.

Quale la lezione per gli imprenditori e gli innovatori di oggi? Quanto più si assume che il futuro funzionerà come oggi, tanto maggiore sarà la forza gravitazionale dello status quo. Così le organizzazioni rigide volgono al declino, rinunciando a volgersi verso nuovi orizzonti. Sono destinate a morire.

Se non si vuole essere colti di sorpresa, è necessario riconoscere che il futuro sarà diverso dal passato. Il futuro è imperscrutabile, ambiguo, aperto ad ogni opzione. Una forte scossa provocata da un concorrente o una nuova tecnologia a volte segnano la fine di un impero. Se il proprio business di oggi è come un giardino perfettamente curato, con fiori in ordine e alte siepi, questo non è abbastanza. La prossima opportunità (o rischio) può stare dietro quelle siepi, all’intersezione caotica tra settori e mercati.

Gli esperti misurano. Imprenditori e innovatori in veste di sperimentatori-esploratori scoprono, non restando impigliati nella rete della sindrome del “successo-come-al-solito”. Essi sondano tecnologie emergenti e nuovi modelli di business. Hanno bene in mente il quadro generale e sono ben attenti a non essere troppo efficienti ed eccessivamente ottimizzatori. Un’ampia prospettiva li aiuta a promuovere modi di pensare e di risolvere problemi non convenzionali, così da sfidare lo status quo. Sanno che l’obiettivo non è quello di inseguire un orizzonte fisso, ma di capire quando e come, mentre si avvicinano, l’orizzonte si sposta.

piero.formica@gmail.com