Il ristretto club del Pil

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Far crescere il Pil è il motivo conduttore e ricorrente associato all’economia. Con il segno ‘+’ accanto alla somma delle operazioni di mercato che formano il Pil, i governi restano saldi in piedi. Altrimenti, col segno ‘-‘, cadono. Quelle operazioni dipendono dall’impegno delle forze produttive, identificate con la terra (la natura), il lavoro e il capitale. Un onere che richiama tuttora, per retaggio dei tempi andati, la fatica fisica.
Misurando tutto, tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta, come ebbe a dire Robert Kennedy (1925-1968) il 18 marzo del 2018 nel suo discorso all’Università del Kansas, la materialità del PIL lascia un vuoto da colmare con la forza direttamente produttiva dell’intelligenza. Carlo Cattaneo, patriota ed economista milanese, le assegnava il primato con queste parole: “Ecco nell’infanzia delle genti atteggiarsi le quattro forze produttive, intelligenza, natura, lavoro e capitale, in una serie che sempre e ad ogni volta viene aperta dall’intelligenza”. Essa corre lungo il campo del Pil, ma lo supera inoltrandosi nel campo della felicità di una persona. Uno sguardo dentro una persona per coglierne quanto e come si sente felice non è ciò per cui il Pil è stato progettato. Uno dei suoi ideatori, il Premio Nobel per l’economia, Simon Kuznets così scrisse nel 1934 in un rapporto al Congresso degli Stati Uniti: “Il benessere di una nazione difficilmente si può dedurre da una misurazione del reddito nazionale”. Del benessere, la felicità è per alcuni sinonimo e per altri una componente insieme all’amicizia e al raggiungimento del successo.
I due terzi del ‘pianeta PIL’ sono coperti da dieci economie; la metà, da quattro di esse (Usa, Cina, Giappone e Germania) che rappresentano il 28,4% della popolazione mondiale. Da questi dati emerge che il Pil è un club ristretto che detta regole e prassi a presidio dell’economia mondiale.

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