Ripresa, elezioni, scuola e guerra i temi della politica in vacanza

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di Antonio Arricale

La ripresa consolida. Di più: le imprese sono a caccia di candidati. La quota dei posti di lavoro vacanti ha toccato infatti lo 0,9% nel secondo trimestre, il massimo – specifica l’Istat – da quando è iniziata la serie, sette anni fa. Il messaggio gira sui media, alla vigilia ormai di Ferragosto, a corredo di immagini che cominciano a mostrare i nostri politici a torso nudo e in pantaloncini da mare. Certo, sotto l’ombrellone si parla anche (e soprattutto) di altro. Di elezioni, per esempio, tanto per non cambiare. Soltanto che, stavolta, l’attenzione non è più direttamente rivolta a quelle politiche, bensì a quelle siciliane di novembre, che costituiranno, pertanto, una sorta di prova generale. Occhio, dunque, alle manovre dei partiti: con le alleanze, infatti, quasi sicuramente avremo in eredità anche la nuova legge elettorale. La quale, pertanto, muoverà tutt’altro che in direzione della semplificazione del quadro politico e della governabilità, come magari il buon senso e lo scenario internazionale imporrebbero. Ma tant’è.

E si parla ancora di scuola, ovviamente, sotto l’ombrellone, in vista del nuovo anno scolastico che dovrebbe cominciare stavolta senza i capricci dell’algoritmo – ricordate? – ma non per questo senza lo scontento dei docenti. In particolare di quelli, e sono i più, che hanno mal digerito l’ennesima fase-farsa della mobilità, ma che tuttavia ancora sperano nell’assegnazione provvisoria, prima di dare in escandescenza. E si parla anche di “liceo breve”, quest’anno, altra panzana dell’ultima arrivata alla guida del ministero di Via Trastevere, il cui corso di studio – ricordano i maligni – più che breve è stato anzi brevissimo.

Il fatto è che, finora, la “questione” scuola è stata affrontata o pensando ai posti di lavoro dei docenti da sistemare o delle risorse da risparmiare (il liceo breve costerebbe 1,4 miliardi in meno, dicono) mai agli studenti. E, dunque, della formazione vera, su cui pure tutti concordano si dovrebbe investire, non lesinare. Il disegno del progressivo smantellamento della scuola pubblica è fin troppo chiaro, ormai.

Ma torniamo ai numeri dell’economica reale. I quali, al solito, non sembrano poi mostrare un quadro così netto nel senso del miglioramento. Prendiamo, per esempio, l’export. Rispetto ad un anno fa, si dice, la voce mostra il vento in poppa (+8,2%). E tuttavia il dato reale a giugno evidenzia una flessione sia sul fronte delle esportazioni (-1%) che delle importazioni (-2,9%). Né va meglio con la voce inflazione, che a luglio analogamente registra un rallentamento (il tasso è sceso all’1,1% dopo l’1,2% del mese di giugno).  

E, però – scrivono le firme più accreditate – è indubitabile che, grazie anche ai primi effetti del Piano Industria 4.0, la produzione ha fatto registrare un balzo in avanti (sempre a giugno +5,3% tendenziale e +1,1% su maggio). Certo, il merito è anche di Mario Draghi e dei tassi bassi, che hanno spinto molte aziende ad investire piuttosto che pagare per i soldi tenuti in banca. Un fenomeno monitorato soprattutto in Germania (ça va sans dire) ma di cui hanno beneficiato – sia pure in misura minore rispetto all’11% dei tedeschi – anche le aziende più strutturate di casa nostra.  

E a proposito di tassi bassi e di Quantitative Easing: in questi giorni ricorre pure il decennale della Grande Crisi. Come si ricorderà, nel caldo agosto del 2017, sotto la spinta degli inconfessabili interessi della grande finanza internazionale, il mondo non seppe o non volle cogliere per tempo i primi segnali di allarme del crac dei mutui subprime. L’ecatombe di piccole imprese e la carneficina di posti di lavoro che ne seguì è ancora viva nel ricordo di molti. Ferite profonde, in alcuni casi, che ancora sanguinano. La finanza, però, continua a dominare più che mai il mondo e intanto ha trovato un alleato di ferro nei giganti delle tecnologie digitali. L’aspetto più tragico di questa vicenda, però, è che gli Stati, anzi, lo Stato rispetto ai banchieri fu meno solerte e generoso. “Nessun banchiere è finito in prigione”, ammise lo stesso Obama. E lo stesso è avvenuto di qua dell’Oceano e in casa nostra. Basti ricordare lo scandalo della manipolazione del Libor di Londra o le vicende della Deutsche Bank, ma anche della Popolare di Vicenza e Banca Etruria o del Monte dei Paschi di Siena, il più antico istituto di credito del mondo. Banca che proprio ieri ha incassato il bonifico dello Stato, che così si porta al 53% del capitale complessivo di 15,7 miliardi.

E si discute, sotto l’ombrellone, con la canicola (anche!) che spacca in due l’Italia, della Terza Guerra Mondiale che la follia del regime nord-coreano di Kim Jong-un è a un passo dal causare. E della corsa all’oro che tra i finanzieri – ancora loro – si è intanto scatenata.