Ricerca, dal cancro alle malattie rare: terapia genica una realtà per 100 pazienti italiani

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in foto Luigi Naldini, direttore dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget) di Milano

Terapia genica, non più una chimera ma una realtà “per circa un centinaio di pazienti italiani con malattie rare o tumori, che sono stati trattati nell’ambito di vari trial clinici nel nostro Paese: da noi circa 50 affetti da malattie genetiche, una decina a Modena per patologie della pelle, a Napoli e a Genova 2-3 pazienti con mucopolisaccaridosi, oltre ai bambini con leucemia linfoblastica acuta in cura a Monza e a Roma, e ad altri malati di linfoma”. A tracciare con l’Adnkronos Salute un bilancio sull’applicazione nel nostro Paese degli innovativi trattamenti che prevedono la manipolazione genetica delle cellule del sistema immunitario, per renderle capaci di riconoscere e attaccare la malattia, è Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget) di Milano, oggi a Roma a margine di un convegno organizzato dal Comitato per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (Cnbbsv). Secondo Naldini, “siamo solo all’inizio di una rivoluzione, l’impiego delle cellule come veicolo per la somministrazione della terapie sta cambiando il paradigma di trattamento di molte malattie, e a questo si affianca la potenza delle informazioni genetiche di cui oggi disponiamo. E si può anche immaginare di superare la natura personalizzata di queste terapie, rendendole universali”. Se per ora le terapie sono infatti costruite ‘a misura di paziente’, utilizzando le sue stesse cellule opportunamente modificate, la direzione in cui la ricerca sta andando, fra le altre, è quella “di arrivare a una sorta di ‘cellula donatrice universale’ in grado di controllare l’immunità di tutti i pazienti, per dar vita a una procedura generale applicabile, appunto, a ogni malato. E’ un progetto che si sta sviluppando per una validazione iniziale, anzi c’è già stato un esempio di terapia Car-T effettuata su una paziente che non aveva cellule T, per cui sono state usate quelle di un altro individuo. C’è una prova clinica iniziale, dunque, ma la ricerca come si sa deve sviluppare metodi robusti”.