Riardo: alla Thierry House, con Giuseppe Leone, Narciso e Pulcinella travolti dallo stesso destino

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di Angela Cerritello

Cosa accade a guardarci allo specchio? Provando, però, ad intenderlo non come semplice superficie riflettente, ma come realtà altra al di là del limite-frontiera del vetro? Insomma, per dirla alla Lewis Carroll, cosa accade ad attraversarlo quello specchio così come fa la sua Alice?Qui è lo specchio ad essere Paese delle Meraviglie, dominato da due principi: quello dell’enigma (o meglio dal doppio enigma visto che parliamo di una superfice che raddoppia l’immagine in termini speculari) e quello della parola, sempre paradossale, sempre incline al gioco e al doppio significato. A raccontarcelo è Giuseppe Leone, che a partire da sabato 30 marzo 2019, presenta una personale presso la Thierry House di Riardo, casa di design e innovazione. Un’esposizione che ha come titolo “Narciso”. E no, non è un caso visto che la figura del giovane Narciso è stata dall’artista soppesata e scandagliata nel corso della sua produzione con un’attenzione feroce quanto clemente. Da una parte traslato eccellente di una certa attitudine contemporanea, così come congerie di tutta una stratificazione simbolica che, partendo dal mito, ha avuto tempo di diramarsi e attecchire in ambiti differenziati. “Nella mia ricerca artistica, che è anche poesia visiva, la narrazione avviene secondo i termini di spiritualità antropologica di una comunità, in cui tradizione ed innovazione, si legano creando un elemento magico.” Spiega Leone. Insomma, qui l’artista scava nella favola mitologica per spiegare a sé il mondo, rielaborarlo attraverso l’alfabeto dell’arte e restituirlo a noi. L’arte come mezzo per sollevare il velo di Maya e per scoprire, attenzione, non una realtà asettica e raziocinante, ma un mondo obliato, magico e viscerale. Leone non pensa soltanto, Leone pensa sentendo ed è quello che fa fare anche all’osservatore. Ed ecco, che anche il racconto di Narciso si scrolla di dosso i vincoli della banalità, per mostrarsi in tutta la sua variegata figura. “La malattia di Narciso, la Sindrome, è quella di ogni uomo che diffida, che teme il fallimento, che sperimenta la complessità incontrollabile della vita.” Continua l’artista. E allora Narciso siamo noi, e solo come potrebbe fare chi si guarda allo specchio, esso si osserva, come dicevamo, in un riflesso feroce quanto clemente, benevolo. Ma non solo, Giueppe Leone dilata fino all’inverosimile, eppur giocando in uno spazio fisico strutturatissimo e bilanciato, il concetto di territorialità, intesa tanto in termini antropologici quanto metaforici. Ed ecco che Narciso strizza l’occhio a Pulcinella. Figura antichissima anche quella, che in molti cavano fuori dalle origini seicentesche per ricollocarne l’esegesi nelle Atellane, spettacoli popolari nell’Antica Roma, una sorta di teatro vernacolare, per intenderci. Anche qui Pulcinella non è maschera da volgata, ma asserisce ad un compito più alto: racchiude in sé, senza rinnegarle, tutti quelle peculiarità che la contraddistinguono e tronfio di tanta zavorra si guarda allo specchio. E allora, domandiamoci, cosa vi intravede? Dare una risposta è difficile. Perché Pulcinella (come Narciso che nel riflesso dell’acqua trova il suo destino infausto) non dovrebbe mai guardarsi allo specchio. Egli è, come scrive Rea: “uomo globale che non conosceva mezze misure. Con un corpo grosso, dominato e governato da istinti animaleschi, i suoi organi potevano parlare, lamentarsi, ragionare tra loro senza svergognarsi di nulla perché tutto rientrava nella fragilità della carne. «La radica, il salame, la sciusciella» ovviamente «erano simboli priapeschi» che maneggiava come scettri davanti a un pubblico che coerentemente vi si uniformava ed esaltava.” E’ in pratica creatura sospesa tra il terribilmente reale e lo spaventosamente onirico. Personaggio mosso da un’estrema tolleranza verso sé stesso, tanto da fare del proprio vizio virtù. Perennemente adagiato in quel fare molle, come ricorda Gleijeses, del “futtitenne…tira a campà”. Ecco, guardarsi allo specchio significherebbe andare in pezzi, prendere atto delle propria natura, non poter più “tirare a campare”. E’ qui che Leone fa scacco matto, in questa forzatura di mettere Narciso e Pulcinella, legandoli assieme in un’intuizione in odor di paradosso, davanti allo specchio. E ancora i due personaggi trovano un punto di incontro nella fatalità della propria morte. Se infatti il fanciullo mitico si lascia accogliere dall’acqua il cui riverbero ha le sue fattezze, Pulcinella trova fine nel golfo partenopeo, così come puntualmente scrive Francesco Palmieri: “Pulcinella è il marinaio fenicio cantato da T.S.Eliot . Scompare nel vero mare di Napoli, che come scrisse Marotta è quello esiguo e domestico su cui affaccia Palazzo Donn’Anna e che guarda al Vesuvio. Proprio lì, nelle vedute all’apparenza più classiche, alcuni artisti e certi occhi più sensibili riescono agevolmente agevolmente a percepire, dietro il mito lacapriano della Bella Giornata, il liquido lamento degli inferi mediterranei”. Un uccello di mare, una pulcinella, becco adunco e piume bianche che zuppo d’acqua si inabissa tra le onde di quella città di cui rappresenta debolezze e attitudini. Pulcinella è Napoli, e , come Narciso, muore dunque del suo stesso riflesso. Il tutto trova cornice perfetta nella Thierry House di Riardo, dove l’opera riesce a sfuggire con facilità al suo valore decorativo per, avvalendosi dei suoi significati profondi e di un dialogo fecondo con i pezzi di design in esposizione, mostrarsi in tutta la sua ampiezza concettuale. “Quando l’arredamento scopre il design si compie una epifania: la dualità di questi due elementi, si fondono, al fine di ricercare la Bellezza.” Spiega Giuseppe Leone. Sì, ma poi quando l’arte incontra il design succede qualcosa d’altro. La bellezza diventa conoscenza prismatica. Diventa rivelazione.