Responsabilità è decisione

228

di Ugo Righi

Ci preoccupiamo spesso della competenza e questo è plausibile, ma che cosa diciamo della responsabilità? Quanta gente irresponsabile che occupa posti di responsabilità.
Quando penso al tema della responsabilità
inevitabilmente mi viene in mente Francesco
Schettino, la sua espressione intensa di patata lessa, il suo tono di voce ferreo-gracidulo, come quello di chi ha la bocca piena di stracchino e il dramma di cui è stato
corresponsabile ma soprattutto il suo grottesco modo di difendersi.
Tutti hanno sempre buoni motivi per spiegare i propri errori trasformandoli in non erronei e tutti hanno sempre buoni motivi per attribuirli ad altri.
Fanno sempre lo stesso gioco, con lo stesso stile e quindi si scopre che la responsabilità è un’altra qualità rara.
La responsabilità è collegata a una posizione di
ruolo sociale o organizzativo (essere responsabile) ma è soprattutto una condizione psicologica che corrisponde alla capacità di “sentirsi”responsabile, ossia farsi carico delle
proprie decisioni e degli effetti delle stesse.
La condizione psicologica, del “farsi carico” è già un agire.
Dal latino sponsare, cioè “impegnarsi”, “promettere”, rispondere, significa ”rispondere a un impegno preso”.
Nella parola “responsabilità” c’è l’idea di un legame, liberamente scelto e al tempo stesso necessario, dell’assunzione di un dovere della cura di coloro cui ci si lega, di ottemperanza a un impegno, previsione delle conseguenze dell’agire.
Ecco, come affermavo, un altro valore in via di estinzione: non si trova mai nessuno che è capace di ammettere i propri errori, di prendersi, appunto, la responsabilità e la cura nel coltivare alibi e nemici è talmente diffusa che è diventata collusione culturale.
Max weber a proposito della responsabilità diceva: “Ogni
agire orientato in senso etico, può oscillare tra
due massime radicalmente diverse e inconciliabilmente opposte, può essere cioè orientato secondo l’etica dell’intenzione oppure secondo l’etica della responsabilità.
Ma c’è una differenza incolmabile tra l’agire secondo la massima dell’etica dell’intenzione, la quale – in termini religiosi-suona: Il cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio e agire secondo la massima dell’etica della responsabilità, secondo la quale bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni.
Quindi il tema della responsabilità s’intreccia con quello della decisione.
“Devo prendere una decisione importante e so che nel momento che l’avrò presa, non potrò tornare indietro e qualcosa sarà cambiato.
Non posso non decidere perché se decido di non decidere sto decidendo e qualcosa accadrà per forza.
Devo cercare di capire cosa potrebbe accadere nelle varie ipotesi e soprattutto evitare di peggiorare le cose”.
Siamo continuamente dentro questo meccanismo: dal decidere quale cravatta indossare, cosa fare prima e cosa poi, cosa cucinare, chi incontrare, ecc.
Microdecisioni banali e quotidiane ma spesso anche fondamentali, come decidere che terapia far adottare al malato, come valutare un collaboratore, se fare una riunione, se fare un viaggio, oppure decidere di avvicinarsi con la propria nave all’isola del giglio.
Il valore della decisione non è guardare all’output ma al costo dell’output, ossia all’ input e alla trasformazione.
Il valore non è insito nell’output perché tale, ma dal vantaggio che crea; Il valore non si trova solo nei benefici ma anche nel processo utilizzato, cioè in cosa immetti, come lo fai, come lo elabori.
Diventa utile, ed etico, oltre che aumentare l’output diminuire gli sprechi in entrata e in elaborazione.
Il valore di qualsiasi nostra decisione responsabile diventa risultato ed esperienza.
In sintesi: il comportamento responsabile e competente è un processo complesso di trasformazione di risorse per conseguire scopi in un ambiente a risultato incerto.
Un bravo imprenditore, amministratore, manager, ecc. è tale perché ottiene il massimo dell’output minimizzando l’input ossia il costo. (rispondendo lui dei risultati).