Referendum di Atene, niente più sarà come prima

58

Grexit si, grexit no. Non è questo il motivo reale dello scontro fra Unione Europea e Grecia, che gli ellenici proveranno a risolvere con il referendum di domani. La scelta, insomma, non è tra il “si” ed il “no” a se i greci vogliono accettare o meno i nuovi sacrifici cui frau Angela Merkel e madame Christine Lagarde, (con il suo “no” alla proroga del prestito di un miliardo di euro, rischia di costringere i creditori – Italia compresa – a perderne 300) intendono sottoporli per evitargli il fallimento, bensì, tra democrazia ed oppressione, tra l’Europa che vogliamo noi e quella che vogliono loro. Un tentativo, insomma, per risolvere l’antico dilemma su chi debba comandare tra “il popolo”, secondo Pericle ed “i burocrati” a sentire Platone. Sicché, la querelle è quella tra un manipolo di euroburocrati scelti, più che per meriti acquisiti, per “grazia ricevuta” e volontà delle principali strutture economico-finanziarie internazionali, che nessuno conosce e nessuno ha votato; e chi ancora crede che la democrazia, pur non essendo l’unico sistema politico esistente, sia certamente il migliore, perché si regge sulla sovranità dei popoli che, con il loro voto possono scegliere e costruirsi da soli il futuro in cui credono. Il che, è esattamente l’opposto di quello che vogliono l’Ue ed i suoi lanzichenecchi che della democrazia non sanno proprio che farsene, ne hanno paura e preferiscono azzerarla e brigano perché anche i 28 Paesi membri si comportino allo stesso modo. Senza rendersi conto – anzi fingendo di non accorgersene – che le difficoltà attuali dell’Europa, il populismo, l’ euroscetticismo e la voglia di farla finita con questa Ue, nata male e cresciuta peggio, sono il risultato della loro politica, dei loro atteggiamenti e delle motivazioni cui hanno improntato le proprie azioni, sin dall’inizio. Hanno occupato l’Eurozona, dettandole parole d’ordine come: euro, pareggio di bilancio, debito pubblico, dovere, austerità, banche, mercati finanziari e tassazione; cancellando del tutto quelle come: solidarietà, crescita, sviluppo, diritti, cooperazione, comunità, integrazione sociale, occupazione e benessere generale. Il tutto, ovviamente, imposto dall’alto e deciso nelle segrete stanze di Strasburgo, senza mai preoccuparsi di come la pensassero i cittadini. Una rigidità che, anziché produrre sviluppo, ha bloccato la crescita dei Paesi dell’eurozona, facendone esplodere tutte le contraddizioni: crescita della disoccupazione, calo dei redditi, aumento del tasso di povertà e l’allentamento della coesione sociale. A proposito, non è un caso, se, dopo aver mostrato qualche disponibilità a riaprire il dialogo negli ultimi giorni, per evitare il voto, la Merkel si sia nuovamente irrigidita e rinviato ogni decisione a lunedì. Spera che le minacce, la chiusura delle banche ed il razionamento dei prelievi ai bancomat, abbiano fatto breccia ed impaurito i greci. Gli ultimi sondaggi sembrano dare vincenti i “si” ed allora meglio aspettare. Se così fosse, infatti, il premier contestatore sarebbe “democraticamente” costretto a dimettersi, per fare posto a qualche altro interlocutore, meno vicino alla gente e più “servizievole” con l’Ue, la Germania ed i poteri forti della finanza. Italia “docet”, insomma. Ma, ancora di più, “docunt” le conseguenze, purtroppo! Sia chiaro, anche Tsipras, chi lo ha preceduto e la Grecia, hanno le proprie responsabilità per quanto sta succedendo. Il problema, però, andava affrontato prima, almeno nel 2011, quando la situazione appariva, si, già difficile, ma non ancora irrisolvibile. In ogni caso, comunque vada il referendum, l’Europa deve cambiare registro. Meno finanza e più solidarietà; meno attenzione alle società di rating e più ai diritti dei cittadini; meno austerità e più sviluppo; meno minacce e più dialogo; meno oligarchia e più democrazia. E, per dirla con il Peppino di “Totò, Peppino e la malafemmina”, “ho detto tutto”. O quasi.