Quelle piccole beghe che sembrano futili ma non lo sono

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Spesso contrasti che sorgono e si manifestano in famiglie, in associazioni, in piccole comunità sono considerate beghe, ovvero litigi piuttosto meschini e futili. I non interessati danno ad esse pochissima importanza; e vi si tengono lontano per evitare fastidi, grattacapi, disagi. Ma spesso quelle che si definiscono beghe non sono contrasti per futili e meschini motivi, ma contrasti fondamentali sull’essere e sul vivere. Sorgono dalla reazione di coloro che volendo vivere nel rispetto reciproco, nella difesa del bene comune e nell’osservanza delle norme giuridiche e di quelle etiche esistenti, vengono subdolamente e violentemente spinti a vivere in modo diverso, quando non si vedono sottrarre parte almeno di quello che, secondo quelle norme, è e dovrebbe restare in loro possesso. Per chi è in questa situazione e la comunica a qualcun altro, magari sperando nel suo aiuto, non c’è nulla di più sgradito del sentirsi dire: “Io non c’entro nelle vostre beghe. Dovete risolverle da soli”. Così situazioni che si potrebbero risolvere pacificamente non lo sono, giacché mancano gli autentici giudici conciliatori. Autorità religiose e civili si rifiutano di entrare in quelle che ritengono beghe familiari; dirigenti di partiti si rifiutano di intervenire in quelle che ritengono beghe di iscritti. In tal modo spesso il vero ed il giusto sono sconfitti dall’arroganza, dalla prepotenza e dall’indifferenza. Ed il vivere va in un modo anziché in un altro. Talvolta scaturiscono lotte tremende che portano istintivamente anche i difensori del giusto e del vero ad usare le armi degli avversari ed a tradire se stessi. Più spesso i difensori del giusto e del vero si adattano a quel che si vuole, sentendo poi sempre, nel fondo del loro animo, inquietudine, angoscia, delusione e disagi. Spesso, nelle scuole, contrasti tra insegnanti che considerano l’insegnamento una missione da svolgere dando tutto se stessi, ed insegnanti che si considerano dei semplici impiegati mal pagati che debbono trovare altrove possibilità per aumentare il loro reddito sono considerate beghe dai capi dell’istituto. Così i primi, impossibilitati ed armonizzare il loro insegnamento con quello degli altri ed a condurre gli alunni verso una loro concreta formazione, dopo vari sforzi e non ricevendo aiuto desistono, cadendo nel torpore e nell’indifferenza. In tal modo anche la scuola, fondamento non solo dell’istruzione ma anche della formazione, cade in balia dell’effimero e del consumismo. Nella Seconda metà del Novecento, quel che restava dell’autorità nelle famiglie, nelle associazioni, nelle istituzioni, nelle piccole comunità è svanito a mano a mano. È rimasto il potere, ma non più assoluto, bensì limitato e ridotto al volere ed alle pretese di coloro che l’hanno e lo sostengono, badando unicamente al soddisfacimento dei propri interessi particolari e materiali e che invitano costantemente gli altri a questo. Così quelle che una volta venivano considerate beghe e non lo erano, sono in gran parte scomparse, essendo in gran parte scomparsi i difensori del vero e del giusto. Un giorno ho sentito dire da una professoressa: “Per anni ho cercato di educare i miei alunni ad essere fedeli al vero ed al giusto. Per anni mi sono sforzata per questo. Ma ho avuto tutti contro, nella scuola e nella stessa mia famiglia, perché non badavo unicamente ai miei interessi materiali. Ed or non so se abbia sbagliato io o abbiano sbagliato gli altri. In ogni caso siamo in un fallimento generale”.