Clementina Gily, professoressa associata di filosofia della “Federico II” di Napoli, ha dato inizio, presso l’Istituto per gli Studi filosofici, al seminario di studi “La vita e il sacro nel Terzo millennio”. L’intensa riflessione sul sacro, punto cuspidale del valore, ha preso le mosse, durante la settimana Santa, con “Il segno del sacro nella folla. Corpo, corpi, corpse” e proseguirà con altri due incontri, il 21 e 22 Aprile, rispettivamente su Gioacchino da Fiore e su Sergio Quinzio, con la partecipazione di Massimo Cacciari, Massimo Iiritano, Pino Cantillo, Vincenzo Omaggio.
Il sacro è un argomento capitale nel nostro tormentato tempo, in cui ad una perturbante “religione dal cielo vuoto”, che mette in crisi l’Occidente, si associano il terrore e l’orrore per l’incredibile violenza fondamentalista islamica, come i recenti attentati di Bruxelles tristemente confermano. Se Galimberti afferma che “alzando gli occhi dalla terra, altro non è dato scorgere se non il nulla che, come una notte nera e senza stelle, spegne anche lo sguardo”, ciò significa che il Novecento ha dimenticato di ripensare il mondo dei valori. Nel 2011 Howar Gardner, noto al gran pubblico per le sette intelligenze dell’uomo, in “Verità, Bellezza, Bontà” denunciò questa incapacità di ripensare i valori della civiltà; un’esigenza che nel nuovo millennio diviene necessaria per rispondere all’azione pressante di altri popoli di diversa civilizzazione.
Il sacro è, in definitiva, l’orizzonte di silenzio da cui l’umanità sembra tenersi a distanza e che ha perso ormai la sua centralità nella vita. La notte del sacro è una notte inimmaginabile perché è notte e giorno, luce e tenebre, è la radura in cui l’uomo è esposto al sacro e riflette su di sé. Negli anni ’90 una profonda trattazione del tema si può far risalire a Giorgio Agamben con “Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita” in cui l’uomo sacro, che è preposto al contatto con il mondo sacro, ossia sacerdoti, vestali, vivono una condizione di separatezza (sacer) dal resto dalla comunità, con spazi (sorgenti, monti, templi, sinagoghe, chiese) e tempi separati dagli altri, affinché possano realizzare attraverso una serie di liturgie la salvezza per la società che si affida loro. Questi viene definito l’individuo “insacrificabile” che, esposto al bando, può venire ucciso da chiunque. La sua condizione è d’eccezione come quella del reo che ha rotto il patto sociale. “Sacer è colui che è stato escluso dal mondo degli uomini e che, pur non potendo essere sacrificato, è lecito uccidere senza commettere omicidio”. Anche nel campo di concentramento l’uomo ebreo si presenta come colui che apparentemente fa parte della società, ma, in realtà, ne è divenuto il capro espiatorio, essendo stato estromesso da essa. Il campo di sterminio è lo spazio in cui si manifesta appieno la nudità e sacertà della vita.
Gily ha approfondito il tema con l’illustrazione delle immagini del plastinatore di cadaveri Von Hagen, la cui mostra nel 2012 approdò all’Albergo dei Poveri di Napoli, il quale in una sintesi estrema di scienza, arte, orrore interpella sulla sacralità del corpo e dei corpi. I cadaveri sono trattati come materia dell’arte, eppure la nudità estrema scorticata, scuoiata, spellata sembra privare il corpo del mistero del suo interno. Il problema estetico e sacrale s’intersecano in quello che appare uno sberleffo all’umanità, travalicante ogni equilibrio scientifico. È giusto violare così il sacro? Leonardo da Vinci, finissimo anatomico dalle molte scoperte, mostrò sempre grande rispetto per il nucleo divino del creato. Renè Girard, tuttavia, ha sempre istituito una continuità tra violenza e sacro, ritenendo che le società evolute, che pensano di essere definitivamente uscite dalla violenza del sacro, corrono il massimo rischio di un ritorno inatteso ad una violenza misconosciuta e rimossa. L’essenza del sacro coincide con la violenza dell’atto fondativo di ogni gruppo sociale da cui la comunità si purifica con il sacrificio. Vi è un delitto iniziale che rinsalda la coesione dei colpevoli che prendono il potere, mentre l’elemento sacrificale, che ha attratto su di sé, come Cristo, la violenza diffusa nella comunità, diviene identità sacra, riconosciuta da una massa o folla che attraverso tale dimensione rivive la sua innocenza.