di Raffaele Vacca
Il pavimento in maiolica della chiesa di S. Michele in Anacapri viene visitato quotidianamente da turisti di tutto il mondo come raffigurazione del paradiso terrestre, del quale parla il biblico Libro della Genesi. E viene ammirato per la sua bellezza, per il suo splendore, per la sua armonia, espressi con la coesistenza di un cielo stellato con il sole e la luna, l’elevarsi di grandi e frondosi alberi con i loro frutti, il volare di stormi di uccelli, lo scorrere di limpidissime acque, il pacifico convivere di animali mansueti ed animali feroci.
Ammirando un’opera che, ispirandosi a realtà concrete del mondo terrestre, ricorda quel che l’uomo ha perduto per sempre, si pone scarsa attenzione alla scena centrale, nella quale sono raffigurati Adamo ed Eva (creati ad immagine e somiglianza di Dio) mentre, dopo essere da immortali diventati mortali, come rivelano i lembi di pelliccia che li avvolgono, sono scacciati da un angelo che brandisce una spada.
Scacciati da quel paradiso, hanno costretto i loro discendenti mortali a costruire città per vivere nella sicurezza, e ritrovare quella tranquillità, quella quiete, quella pace, quell’armonia che esistevano nel paradiso perduto.
Ma ciò non sempre è avvenuto, sia per l’agire degli stessi abitanti delle città, sia per gli attacchi ad esse portate da uomini di altre città.
Come ricorda Sant’Antonio, che è il patrono di Anacapri, le città sarebbero dovute essere costruite imitando la bellezza della città celeste, senza iniquità, senza confusioni, senza furti ed inganni, senza ingratitudini, senza sangue ed omicidi, senza dissolutezze, senza corruzione di anime.
Così però non è stato. L’amore, che spesso ha agito segretamente, è coesistito con l’iniquità che si è presuntuosamente manifestata, mentre sono aumentati gli uomini che, pur restando mortali, per le scoperte della scienza, le applicazioni della tecnica e le produzioni industriali, si sono ritenuti e si ritengono onnipotenti. Ed hanno ritenuto e ritengono inesistente il Creatore di loro stessi e di tutte le cose visibili ed invisibili.
Ma gli avvenimenti di questi giorni sia in Italia, sia nell’intero Occidente, sia nel resto del mondo, con i cambiamenti climatici, il pericolo dell’intelligenza artificiale, la persistente minaccia nucleare inducono a ritenere che l’agire di tanti stia allontanando l’umanità da quella terra, dove era stata costretta a vivere, dopo che si era perduto il paradiso terrestre.
Piangere su questo è inutile, mentre è dannoso non saper vedere e non voler vedere, per restare nel riso, nello sghignazzare, nel godere irresponsabilmente tutto quello che è possibile materialmente godere.
Quando un singolo si avvede della situazione esistente, sente subito la sua impotenza. Gli sembra che nulla gli è possibile tentare per un cambiamento. Tutto deve accettare o, per meglio dire, subire.
Se ciò facesse (e molti lo fanno), si adatterebbe all’agire del mondo e lo sosterrebbe.
Se questo non vuole, per essere pienamente responsabile della sua irripetibile esistenza terrena che passa, osservando attentamente ciò che è e ciò che avviene, deve saper distinguere quel che è bene e quel che è male, per sé e per l’umanità, quel che guarisce (che deve accettare) e quel che uccide (che deve respingere).
Deve agire, nei limiti del possibile, segretamente e nel silenzio, come se stesse partecipando alla costruzione della città terrena ispirandosi a quella celeste. E ciò nella speranza che sull’umanità, che sembra essere spiritualmente nelle tenebre nonostante le sue luci artificiali, possa ritornare la luce divina.