Prosumer, sintesi di democrazia e impresa

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Di Piero Formica Un grosso scossone al Bazar delle Follie potrà darlo l’economia della condivisione che ha creato un nuovo paradigma di aggregazione degli individui. Storicamente l’affermarsi delle comunità è stato un processo connesso con lo sviluppo delle arti e dei mestieri. È intorno alle comunità organizzate in categorie (operai, impiegati, dirigenti, imprenditori, liberi professionisti) che la legislazione prende forma. Alle leggi le diverse categorie chiedono di tracciare il sentiero da percorrere. In campo economico, i modelli di previsione servono ai policy maker per individuare i nuovi percorsi lungo i quali si incammineranno i soggetti economici e sociali. C’è dunque il determinismo al centro del sistema di relazioni. Caso e probabilità sono messi ai margini, sono spazi di oscurità di cui tenere poco o nessun conto. I provvedimenti di politica economica sono a livello nazionale il risultato di negoziazioni con strategie di “spingi e tira” messe in atto dal governo e dai corpi professionali. Con l’affermarsi di aggregazioni superstatuali e a seguito della globalizzazione dei mercati, in quelle stesse negoziazioni sono coinvolte le circa 5000 organizzazioni intergovernative e le circa 25000 organizzazioni internazionali non governative, secondo i dati resi noti dall’Yearbook of the International Organizations pubblicato dall’Union of International Associations. L’economia della condivisione ha messo in moto un processo di democratizzazione dei consumi e della produzione. Un crescente numero di consumatori condivide beni e servizi con gli altri membri della comunità cui è associato. Grazie alle potenzialità che le tecnologie digitali offrono nel campo della manifattura, il consumatore diviene anche produttore di ciò che consuma (“prosumer”). Il processo di democratizzazione dell’imprenditorialità è dunque in cammino. È così che i consumatori oggi possono tutelare i loro interessi nella duplice veste di compratori e produttori. Le categorie professionali sono organizzate per essere portatrici di interessi dal lato dell’offerta dell’economia. Il sindacato, per esempio, intende salvaguardare il posto di lavoro e il salario dei suoi iscritti. Tuttavia, il lavoratore è indifeso come consumatore. Ciò che è diviso nella rappresentanza sindacale – la persona come produttore e la stessa in veste di consumatore – l’economia della condivisione lo unisce nella figura del “prosumer”. Se la politica pubblica intendesse dare voce alle comunità di condivisione, allora essa dovrebbe varare politiche pro-imprenditorialità. Ciò dovrebbe essere fatto facilitando la sperimentazione di startup imprenditoriali. Il fatto è che i policy maker sono fortemente condizionati dai loro interlocutori portatori d’interessi particolari dalle cui fila un certo numero di loro proviene. In tal modo si costringe in un ristretto recinto il campo d’azione dell’innovazione, così soffocando l’imprenditorialità innovativa che altrimenti scaturirebbe dalle comunità di condivisione. piero.formica@gmail.com