di Claudio Quintano* e Antonella Rocca**
Il Plan Bleu è un organismo del Programma Ambiente Mediterraneo delle Nazioni Unite (Unep/Map – Plan d’Action pour la Méditerranée du Programme des Nations Unies pour l’Environnement Pnue/Pam).
Qui di seguito la lista dei 22 Paesi del Plan Bleu.
Plan Bleu ha come obiettivo prioritario quello di contribuire alla sensibilizzazione degli attori e dei decisori del bacino del Mediterraneo verso le problematiche e i rischi legati all’ambiente per stimolare uno sviluppo sostenibile delle regioni. Ha sede a Sophia Antipolis, dove è presente un centro per lo sviluppo sostenibile del bacino del Mediterraneo. La sua funzione è anche quella assolvere al ruolo di osservatorio, per un’analisi s
Tra i suoi obiettivi strategici, si annoverano più in particolare:
- Identificazione, raccolta ed elaborazione di informazioni ambientali, economiche e sociali utili agli attori e ai policy-makers;
- Valutazione delle interazioni tra l’ambiente e lo sviluppo economico e sociale per la misura dei progressi verso uno sviluppo sostenibile;
- Conduzione di analisi ed elaborazione di scenari futuri per supportare e agevolare i processi decisionali;
- Diffusione e comunicazione dei risultati degli studi secondo un format comprensibile al pubblico interessato.
Altra importante funzione è quella di effettuare studi sui programmi e i budget adottati dai membri firmatari della Convenzione di Barcellona.
Il centro coopera con le diverse istituzioni internazionali, europee, nazionali e regionali che si interessano alla promozione dello sviluppo sostenibile nel Mediterraneo.
Ai fini del monitoraggio dell’attuazione della Strategia Mediterranea per lo Sviluppo Sostenibile (MSSD) 2016-2025 in relazione all’adattamento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) alla regione del Mediterraneo, Plan Bleu ha messo a punto una serie di indicatori e alcune “schede informative sugli indicatori”, elementi di un Dashboard sullo sviluppo sostenibile nella regione del Mediterraneo.
Configurazione di 22 Paesi del Plan Bleu che lambiscono il mare Mediterraneo: 1)Albania; 2) Algeria; 3) Bosnia- Erzegovina; 4) Cipro; 5) Croazia; 6) Egitto; 7) Francia; 8) Grecia; 9) Israele; 10)Italia, i cui dati statistici includono quelli dei 2 Paesi : (Stato di) San Marino e (Stato del) Vaticano; 11) Libia; 12) Libano; 13) Malta; 14)Marocco;15) Montenegro; 16) Palestina; 17) Principato di Monaco; 18) Siria; 19) Slovenia; 20) Spagna; 21) Tunisia; 22) Turchia
I dati indicati sono stati aggregati da Asi-Telespazio – e_Geos – National Geographic in Mediterranea – Visione di un mare antico e complesso – Settembre 2019 (pp. 84-86).
Popolazione
La popolazione totale che vive sul Mediterraneo equivale al 6,8% dell’Intera popolazione mondiale:
255 mln 510 mln 640 mln
1960 2007 2050
Numero delle città costiere sul Mediterraneo
318 584
1950 1995
Numero persone/km costa:
580 1530 1970
1950 2000 2026
Turismo di massa
30% | 200 | ||
del turismo internazionale | milioni di turisti ogni anno | ||
+45% | +40% | ||
consumo di acqua potabile utilizzata da un turista rispetto ad un residente | I rifiuti solidi prodotti da un turista rispetto ad un residente |
Cementificazione coste
46.000 | -40% | ||
Km di coste | Riduzione del numero di spiagge in Italia, Spagna e Grecia negli ultimi 50 anni | ||
40% | 7% | ±65% | 100% |
Attuale tasso di cementificazione dei litorali | Tasso di cementificazione dei litorali in Albania | Tasso di cementificazione dei litorali in Italia | Tasso di cementificazione dei litorali in Libano, Israele, Malta, Monaco e Slovenia |
Acque
1% | 1450 | 17000 | -0,1 |
Della superficie degli oceani globali è rappresentata dal Mediterraneo | M di profondità media del Mediterraneo rispetto ai 3750m dell’oceano | Numero delle specie ospitate (7,5% della biodiversità marina globale) | Unità per decennio di diminuzione |
Foreste
88 | 400000 | 2% | 5 |
Milioni di ettari di superficie forestale | Ettari bruciati ogni anno | Dell’area forestale globale | Miliardi di tonnellate di carbonio immagazzinato dall’area forestale globale |
Temperatura
+2,2% | +3,8% |
Aumento di temperatura nel 2040 (stima) | Aumento di temperatura nel 2100 in alcune regioni (stima) |
Rifiuti
208/760 | |||
Kg annui di rifiuti solidi urbani pro capite | 95% | 7% | 1,25 |
Quantità della plastica tra i rifiuti rinvenuti in mare aperto | Della microplastica globale è concentrata nel Mediterraneo | Milioni di frammenti di microplastica per km2 |
I dati sul Mediterraneo ci indicano che la sua rilevanza in termini di popolazione ospitata è pari al 6,8% della popolazione mondiale. Tuttavia, si tratta di un dato destinato ad aumentare notevolmente. Infatti, se nel 1960 le persone che vivevano nell’area mediterranea erano pari a 255 milioni, esse risultavano quasi raddoppiate, pari a 510 milioni, a distanza di meno di 50 anni, ovvero nel 2007. Questo dato è destinato a salire ulteriormente, se si pensa che la stima della popolazione mediterranea al 2050 è di 640 milioni di persone.
Dei 500 milioni di abitanti attuali, 2 su 3 vivono in centri urbani. In aumento, infatti nel tempo, il numero delle città costiere lambite dal Mediterraneo: alle 318 del 1950, se ne sono aggiunte altre 266 nel corso dei successivi 45 anni. Nel 1995, infatti, ben 584 erano le città affacciate sul mare Mediterraneo.
Nonostante i problemi legati al clima e al difficile percorso verso un futuro sostenibile, il mar Mediterraneo continua ad essere una delle mete turistiche più ambite, con un peso pari al 30% sul turismo internazionale, attirando un numero medio di 200 milioni di turisti ogni anno. Le ripercussioni sulla sostenibilità sono evidenti, se si pensa che il consumo di acqua potabile utilizzata da un turista rispetto ad un residente è del 45%, in più con una produzione media di rifiuti da parte dei turisti del 40%, in più rispetto ai residenti. Si stima che, complessivamente, circa 80 milioni di persone che vivono nel territorio mediterraneo soffrono per la penuria di acqua.
Particolarmente rilevante il tema della cementificazione, che si associa all’incremento del numero delle città e al fatto di essere ancora lontani da un percorso sostenibile. Sui 46.000 km costieri, nel corso di 50 anni, si è assistito alla riduzione del numero di spiagge pari al 40%, in Italia, come in Spagna, come in Grecia. D’altra parte, molto elevato si presenta il tasso di cementificazione delle coste, pari al 40% del totale, con un’incidenza molto variabile tra i Paesi. In Albania, per esempio, essa si attesa solo al 7% mentre in Libano, Israele, Malta, Monaco e Slovenia raggiunge il 100%. Ad un livello intermedio si colloca l’Italia, con il 65%.
Nonostante la progressiva cementificazione, il Mediterraneo è famoso anche per la sua macchia mediterranea. Esso, infatti, ospita circa il 10% della biodiversità mondiale delle piante con fioritura, di cui più della metà di varietà endemica. Purtroppo, però, sebbene l’area forestale ammonti a 88 milioni di ettari, pari alla superficie di Francia e Italia e pari al 2% dell’area forestale globale, ogni anno gli ettari di macchia mediterranea che vanno persi risultano nell’ordine di 400.000, mentre sono pari a 5 i miliardi di tonnellate di carbonio immagazzinato, pari al 2% dell’area forestale globale.
In termini di falde acquifere, il Mediterraneo rappresenta soltanto l’1% della superficie di tutti gli oceani globali. Rispetto ad una profondità media di questi ultimi di 3750 metri, però, la profondità nel mar Mediterraneo risulta mediamente solo di 1450 metri. L’inquinamento non sta risparmiando neanche le acque del Mediterraneo. Annualmente, in media, si stima che esse stiano subendo una riduzione del pH dell’1%. Ciò mette a rischio la sopravvivenza dell’intera flora e fauna marine. Si stima, infatti, che il Mediterraneo ospiti il 18% delle specie marine macroscopiche in solamente l’1% delle superficie mondiale dei mari!
L’incremento di temperatura che sta interessando il mare, inoltre, che, si stima, nel 2040 raggiungerà i 2,2° e che in alcune regioni nel 2100 dovrebbe arrivare a 3,8°, farà aumentare considerevolmente gli eventi climatici estremi mentre la crescente acidificazione delle acque su richiamata, dovuta alla quantità sempre maggiore di anidride carbonica presente nell’atmosfera, comporterà un’alterazione dell’ecosistema marino, con una diminuzione della sua biodiversità e conseguente impoverimento delle riserve alimentari ittiche, già oggi minacciate da una pesca esercitata in modo scriteriato e senza regole.
In merito all’energia fossile, al Mediterraneo sono associabili il 76% della domanda di energia primaria mentre le energie rinnovabili hanno un peso di circa l’11% del totale mix energetico.
Il Mediterraneo è ancora una grande risorsa economica anche con riferimento alle attività di pesca. Infatti, si annovera che le navi da pesca che operano regolarmente in questo mare sono circa 73000, di cui il 70% appartiene ancora ad un’attività di pesca di tipo tradizionale.
La Blue Economy come risorsa per risollevare le sorti del Mediterraneo
Una strada sicura verso la realizzazione di un’economia sostenibile del Mediterraneo viene dalla Blu economy, intesa come un’economia a basso impatto ambientale, efficiente sotto il profilo delle risorse e circolare. Si tratta in altre parole di un’economia basata sul consumo e sulla produzione sostenibili, su modelli che hanno come obiettivo primario quello di migliorare il benessere umano e l’equità sociale, generare valore economico e occupazione, e ridurre i rischi ambientali e le scarsità ecologiche in modo significativo.
Il termine circolare inoltre evidenzia la propensione dell’economia a ridurre al minimo i rifiuti, gli scarti derivanti dalla propria attività, raggiungibile attraverso un modello economico pensato per potersi rigenerare da solo, garantendo, dunque, la sua ecosostenibilità.
Il perseguimento di questi obiettivi richiede uno sforzo ed un impegno da parte di tutti i soggetti coinvolti. In particolare, le azioni da perseguire per mirare verso questo importante, quanto necessario obiettivo, sono le seguenti:
- Migliorare la governance per un’economia blu. Ciò significa far seguire costantemente alle buone intenzioni ed ai proclami i necessari accordi internazionali per la sua realizzazione. Allo stesso tempo, richiede anche uno sforzo proteso a garantire che gli accordi già esistenti, relativi al mare a livello globale e regionale, vengano effettivamente rispettati. In altre parole, occorre garantire che questi accordi siano firmati, ratificati e attuati nell’interesse dei Paesi firmatari. Inoltre, al di là degli accordi esistenti, è necessaria la massima cooperazione tra tutti gli organismi internazionali coinvolti, quali Nazioni Unite, Banca mondiale, OCSE, Unione per Mediterraneo (UpM), Unione Europea (UE) affinché mettano a punto una cooperazione internazionale in materia marina e le questioni marittime. In secondo luogo, richiede l’implementazione appropriata di legislazione, regolamenti e politiche a livello nazionale e regionale, coniugando un adeguato coinvolgimento degli stakeholders e dei processi decisionali trasparenti..
- Ampliare l’uso di strumenti economici (prezzi, tasse, sussidi) migliorando la conoscenza delle distorsioni economiche (ad esempio quelle risultanti dai sussidi che danneggiano l’ambiente), utilizzando una tassazione più verde e dando maggiore importanza al ruolo di incentivazione dei prezzi, soprattutto per risorse e inquinamento.
- Supportare l’innovazione tecnologica e sociale promuovendo tecnologie adeguate, condividendo le migliori pratiche e l’imprenditorialità sociale. A tal fine, di grande importanza è ridurre l’impatto ambientale dell’economia d’alto mare e costiera e quindi aumentare i benefici socioeconomici (creazione di nuove figure professionali, formazione e occupazione per i giovani, sicurezza alimentare, riduzione della povertà).
- Investire nell’economia blu e aumentare i relativi finanziamenti includendo vari strumenti di finanziamento: tradizionali e innovativi, nazionali e internazionali (in altre parole, coinvolgendo allo scopo banche di sviluppo, fondi internazionali), pubblici e privati (filantropico o non filantropico).
- Promuovere lo sviluppo e l’uso di statistiche e indicatori per basare le politiche dell’economia blu su conoscenze scientifiche e fattuali e seguirne i progressi in modo coerente nel tempo.
Quali prospettive per il Mediterraneo dopo l’epidemia da Covid-19?
Così come tutte le economie delle diverse regioni nel Mondo, anche l’area Mediterranea ed i Paesi che ne rappresentano il cuore pulsante sono stati profondamente colpiti dalla pandemia da Covid-19, sebbene in tempi e con intensità al quanto differenti.
Allo stato attuale, qualsiasi analisi e considerazione che si intende avanzare deve essere formulata con grande cautela, in quanto la crisi sanitaria non è stata ancora superata e le statistiche rimangono provvisorie e talvolta imperfette. In un tale scenario, pertanto, risulta azzardato, se non impossibile, fare qualsiasi previsione.
Descrivere l’attuale situazione economica e sociale che i Paesi mediterranei stanno vivendo in questi tempi è inoltre reso estremamente difficile in quanto, a differenza delle grandi questioni ambientali, intrinsecamente complesse, multifattoriali, che si dispiegano nel lungo periodo, con il rischio di grandi irreversibilità, quella che stiamo vivendo è una situazione del tutto nuova, , imprevedibile, la cui durata è peraltro ancora oggi ignota.
Per analizzare le conseguenze dell’epidemia nella regione Mediterranea, è necessario distinguere tre diverse fasi.
La prima fase può essere definita come quella di risposte immediate al virus.
La seconda si è caratterizzata invece per il declino economico dovuto alle misure intraprese per contrastare la pandemia e richiede quindi una analisi in profondità delle conseguenze economiche e sociali che queste risposte hanno comportato.
La terza fase, infine, è quella del medio-lungo termine, poiché si caratterizza per l’analisi degli effetti di lungo periodo derivanti dalla cosiddetta convivenza con il virus. In questa fase, la cui durata sarà sicuramente più lunga di quanto si poteva immaginare in un primo momento, si pone più che mai la necessità di costruire politiche più sostenibili e più resilienti di fronte alle debolezze che l’attuale crisi sta evidenziando per l’intero territorio mediterraneo.
È essenziale, infatti, partire dalla considerazione che, così come è accaduto per la grande recessione dello scorso decennio, a rimanere più colpite sono sempre le economie più deboli e già provate da elevati tassi di disoccupazione, quali appunto la maggior parte delle economie dei Paesi mediterranei, soprattutto se raffrontate con le più solide e fiorenti economie del Centro e Nord Europa. A ciò si aggiunge il fatto che non tutti i settori economici sono stati colpiti allo stesso modo dalla crisi economica. Infatti, mentre quelli legati alla tecnologia hanno subìto addirittura un’accelerata, altri settori più tradizionali e quindi più tipicamente mediterranei, come il turismo, hanno subito una grave battuta di arresto.
Pertanto, mai come ora è necessario appellarsi alla resilienza, come sfida per, non solo, superare questa che è certamente la più grave delle crisi economiche e sociali dal secondo dopoguerra, ma addirittura farne un motivo di accelerazione di un cambiamento verso un futuro più sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Infatti, come tutte le crisi, anche quella da coronavirus non avrà solo conseguenze negative. Essa stimolerà un cambiamento non solo nel campo della salute, ma anche nel nostro rapporto con la natura, sui modelli di lavoro, istruzione e consumo (ascesa del virtuale), sui rapporti tra esperti e potere politico, sul ruolo degli stati e delle organizzazioni. E’per esempio auspicabile che si vada verso una grande riorganizzazione delle attuali forme di divisione internazionale del lavoro, favorendo le relazioni di prossimità rispetto a quelle con i Paesi più distanti. Sarebbe auspicabile arrivare ad immaginare di realizzare una “via della seta” nostrana, che percorra strade e rotte tutte mediterranee, valorizzando il rapporto con il vicino più prossimo, ovvero da realizzarsi tra le economie del bacino del Mediterraneo.
Riprendendo le parole di Jean-Claude Izzo, “Il Mediterraneo non è solo geografia. Non è solo storia. Ma è più di una semplice appartenenza”. È stato ed è un crocevia fondamentale, di scambi e traffici. In un’epoca caratterizzata da divisioni, in cui ancora si ergono muri e in cui le sue acque sembrano dividere, piuttosto che unire, il Mediterraneo deve tornare ad essere quel ponte che, in quanto collettore di tre diversi continenti, unisce, in qualità di luogo di contaminazione di culture diverse e di grandi civiltà.
Ciò sarebbe auspicabile anche in termini di riscoperta delle comuni antiche radici che, ancora oggi, caratterizzano fortemente le culture ed i valori che accomunano i Popoli del Mediterraneo. Queste considerazioni possono essere parametrizzate su comportamenti virtuosi solo se la dimensioni sottostante del Mediterraneo – e quindi la sua delimitazione sia rappresentativa al massimo dei carattere della mediterraneità umana della natura della sua ecologia nonché dell’arte e della cultura a similarità dei caratteri della sostenibilità, particolarmente della resilienza che può attivare la ripresa dagli shock. Non solo a primo acchito la delimitazione Emanuele-Centelles (marinaro, artistico, culturale) risponde nelle grandi linee che partono dal non troppo grande al non troppo piccolo. (Convegno di Agrigento, Multaqa 2018, del 25-27 maggio di quell’anno, organizzato dalla Fondazione Terzo Pilastro, di Emmanuele F. M. Emanuele e del professor Gugliemo De’ Giovanni Centelles di Precacore).
Bilanciamento tra pacatezza e progresso, ecc. Queste stesse considerazioni che appartengono al recentissimo dopo PIL connoteranno e accompagneranno, passo dopo passo, la questione del dimensionamento del Mediterraneo che assume il volto nuovo che nel passato nell’organizzazione degli spazi è stato connotato dal territorio, (il termine dell’organizzazione del territorio mette insieme i due necessari termini a base dell’esercizio del modello della distribuzione delle attività negli spazi secondo la logica dello sviluppo del progresso economico). Il Mediterraneo che nella delimitazione prevalentemente marinara incomincia a mettere a riposo il PIL come strumento dell’analisi, per cui prima affianca al PIL l’HDI (Human Development Index, che è allo stesso livello di sinteticità del PIL) introdotto come antesignani, ben due anni fa, nella elaborazione delle 72 variabili attinenti i Paese del Mediterraneo per poi sostituire oggi quasi totalmente gli indicatori di sostenibilità di varia caratura, che portano alla sintesi del HDI cogliendo le aspettative degli uomini del Mediterraneo portando l’uomo moderno ad accettare, e, quindi realizzare un profilo personale e sociale non più orientato alla crescita della ricchezza ma a alla crescita del benessere.
*professore straordinario di Statistica economica dell’Università Suor Orsola Benincasa – emerito di Statistica economica del Dipartimento di Studi aziendali e quantitativi, Dipartimento di eccellenza dell’Università di Napoli Parthenope – già Rettore dell’Università di Napoli Parthenope (2010 – 2016)
** professore associato di Statistica economica del Dipartimento di eccellenza di Studi aziendali e quantitativi (Disaq) dell’Università degli studi di Napoli Parthenope