Premi, al Penisola Sorrentina il progetto “copertina d’autore” di Leone: un cammeo omaggia Jorit

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di Azzurra Immediato

La XXIII edizione del Premio “Penisola Sorrentina Arturo Esposito”® diretto da Mario Esposito con la cura e il coordinamento artistico del maestro sannita Giuseppe Leone, propone un progetto nominato Copertina d’Autore di cui, per il 2018 è protagonista Jorit Agoch, street artist partenopeo di fama internazionale, noto per un linguaggio che fonde miti, periferie, battaglie etiche e civili, secondo una “idea di umanità”, una “Tribù urbana” divenuta icona attraverso gigantografie iperrealiste che animano e fanno riflettere (sul)le periferie, in una eterogeneità che segna il profondo rapporto con la realtà, tra simbologia e memoria, quotidiano e storia, secondo una inusitata drammaturgia.
Altro importante protagonista del Premio è il cammeo, gioiello ed opera d’arte, derivante da una tradizione millenaria che affonda le radici nel Golfo di Napoli, nelle terre vesuviane e che, affidata ai maestri incisori Francesco e Carmine Scognamiglio di Torre del Greco, quest’anno vuole omaggiare l’artista Jorit. Un trinomio, in realtà, che unisce il maestro di Buonalbergo (Bn) Giuseppe Leone, ideatore del logo del Premio cui si è ispirato lo street artist per la propria Copertina d’Autore ed i sapienti artigiani torresi. Insieme, Essi interpretano un rapporto iconografico unico, una commistione perfetta, un dialogo visivo serrato, che porta in scena la rielaborazione del mito ispiratore di Ulisse, simbolicamente afferente alla poetica del maestro buonalberghese e narrato poi mediante il linguaggio tipico dell’artista partenopeo. Una traduzione resa strabiliante narrazione sul cammeo, un omaggio per resa magistrale, esaltante la qualità di una lavorazione la quale, dalle origini artigianali, si trasforma in minuziosa arte, convogliando idiomi differenti ma intrinseci alla storia ed ai luoghi vesuviani.
È nell’incisione degli Scognamiglio che trovano spazio l’uomo, l’Odisseo di Giuseppe Leone, che viaggia nel Mediterraneo su quella ‘barchetta’ divenuta tratto distintivo di una metafora ben più ampia, allegoria di un peregrinare universale, di uno sguardo che tende verso un altrove misconosciuto, lontano dal centro noto, diretto verso le periferie, le stesse che Jorit, come fosse un novello Ulisse, osserva e onora, fonte di nuova conoscenza nel viscerale colloquio con una territorialità che deve essere salvata. In un simile processo, come sottolinea il direttore artistico, “L’arte diviene sinergia e sostanzia il concetto del fare”, atto che si fa riconoscibile nell’iconografia di Jorit, in quei segni rossi che Egli dipinge sui visi dei suoi personaggi, dai santi ai calciatori, in giro per il mondo, afferenti alla sua ‘tribù’, segni rossi che, straordinariamente, rimandano alle colate di lava vesuviane, indelebili tracce della natura di quei luoghi e, d’improvviso, segno umano che si fa appartenenza d’universalità concettuale, presenti in maniera vivida sul cammeo realizzato dagli Scognamiglio, detentori di una sapienza antichissima, nella sublimazione di un emblema che travalica il tempo, la storia e lo spazio traducendo un sentimento profondo, eterno. La traccia della Natura che sgorga dalle profondità vulcaniche unisce i volti che Jorit dipinge e l’intento di farsi nuova ricerca di cui l’eroe greco, il viaggio, ed il mare sono archetipi sintetizzati anni addietro da Giuseppe Leone.
Un omaggio dell’arte all’arte che riunisce sotto la propria egida ispirazioni ed intuizioni di differente origine ma che trovano nel Golfo di Partenope una identità unitaria seppur molteplice: pittura ed incisione mirano, dunque, ad una integrazione non più utopica, auspicio per una cultura che valorizzi il territorio, la storia passata ed il futuro, che traghetti la tradizione fino ai giorni nostri.