Povertà e desertificazione, ecco le paure degli italiani

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Ora che il dado è tratto, Mario Draghi ha rassegnato le dimissioni da premier nelle mani del Presidente della Repubblica e in autunno si andrà a votare per il nuovo Parlamento, appare particolarmente interessante osservare i risultati di un sondaggio realizzato da Swg e diffuso all’inizio di luglio sulle preoccupazioni di lungo periodo degli italiani.
A riproporlo tempestivamente, quando la rovinosa caduta del governo non era ancora all’orizzonte, è il capo economista di Cassa Depositi e Prestiti Andrea Montanino in uno dei suoi più efficaci prodotti mediatici: un audio di 100 secondi ai quali ogni giorno affida una sua riflessione su un dato utile a conoscere meglio l’economia, la politica, la società.
Agli intervistati è stato chiesto di esprimere quattro indicazioni sui rischi percepiti da qui a trent’anni. Una visione di come non vorremmo si presentasse il Paese che lasciamo ai nostri figli e nipoti e che offre uno spaccato interessante dei timori che agitano il Paese. Un’interessante prospettiva per chi si appresta a guidare la nazione in uno dei momenti più delicati della sua storia.
Le risposte sono state ordinate in tredici voci e al primo posto di questa particolare classifica figura l’aumento della povertà e della disuguaglianza. Un trend che minaccia di frammentare la comunità e renderla più debole e incapace di affrontare le sfide che si affacciano. Questa consapevolezza si nutre degli effetti indesiderati della globalizzazione e di un’eccessiva finanziarizzazione dell’economia.
Un gradino più sotto, con un grande balzo rispetto alle precedenti rilevazioni, troviamo la desertificazione e la carenza idrica. Una sensibilità di recente formazione dovuta anche al clima che ci sta accompagnando. Il terzo posto è occupato dalla mancanza di lavoro, un problema invece assai radicato ma che viene vissuto con meno pathos che nel passato.
In quarta posizione si piazza la carenza di fonti energetiche. In questo caso l’allarme scatta con le conseguenze della guerra in Ucraina che hanno reso tutti più consapevoli della nostra fragilità di sistema. Subito dopo, sotto l’influenza dell’esperienza pandemica, si trova la crescita delle epidemie e delle malattie. Un risultato comprensibile vista l’incidenza del Covid sulle nostre vite.
Al sesto posto si colloca la mancanza di giovani connessa alla grave crisi demografica che si profila all’orizzonte e al settimo l’invasione degli stranieri. Due facce della stessa medaglia, si potrebbe azzardare. Quindi è la volta di rivolte, disordini e guerre. L’impatto della cronaca è molto evidente e sviluppa l’impressione che ci avviamo ad abitare un mondo sempre meno sicuro.
In nona posizione compare l’innalzamento del livello dei mari e subito dopo la diffusione delle armi e della violenza. Un timore, quest’ultimo, alimentato dalla montante pericolosità che si avverte in ogni ambito della nostra esistenza: in famiglia, con gli amici, nelle città. Tutti elementi che denotano una sempre maggiore ansia di vivere. Frutto, anche, dell’incertezza in aumento.
Le ultime tre criticità hanno perso molto peso relativo rispetto agli anni scorsi, sopraffatte dai nuovi mali che affliggono l’umanità: il dominio della mafia, la droga dilagante, la crescita del terrorismo. Un pacchetto di doglianze che in tempi non molto andati era al centro dell’attenzione e che oggi viene sorpassato da quelle che figurano come nuove e sempre più incalzanti emergenze.
Ecco, nulla di straordinario. Ma una graduatoria di problemi reali e percepiti che dovrebbe condizionare le scelte dei partiti e della politica nell’ora di una crisi difficile da spiegare. Accanto alle alchimie che determineranno i risultati delle urne sarà utile tenere a mente i bisogni di una popolazione che per due terzi si dichiara convinta che il futuro sarà peggiore del presente.