Politici e magistratura, dietro lo scontro c’è referendum confermativo

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Banche, politica e magistratura in primo piano, questa settimana. Con strascichi di polemiche infuocate, ça va sans dire. C’è solo l’imbarazzo da dove cominciare.

Lo scontro tra magistrati e politica è tema non nuovo per l’Italia. In qualche modo, per i più anziani, è un film già visto. E più volte, anche. In quest’era repubblicana, l’equilibrio sempre particolarmente precario tra i poteri dello Stato, in particolare tra quello giudiziario ed esecutivo, saltò platealmente una prima volta all’inizio degli anni Novanta, con la cosiddetta Tangentopoli. Attraverso le inchieste giudiziarie – condotte con metodi e risultati spesso discutibili per un Paese che mena vanto di aver dato i natali a Cesare Beccaria – fu praticamente spazzata via l’intera classe di governo del tempo.

Accadde di nuovo e ripetutamente negli anni successivi, con l’avvento di Berlusconi al governo: ma questa è storia arcinota di cui il lettore sarà, immagino, addirittura nauseato. E però merita di essere ricordata, perché, per la legge del contrappasso, l’ex Cavaliere del lavoro proprio dall’azione della magistratura potrebbe trarre per una volta soddisfazione. Ma su questo punto torneremo.

Dunque, il nuovo scontro tra giudici e politici nasce dall’arresto, con l’accusa di turbativa d’asta, del sindaco di Lodi, del partito democratico. Provvedimento che segue, ma forse soltanto dal punto di vista temporale, le precedenti dichiarazioni del nuovo leader del sindacato dei magistrati (Anm) Piercamillo Davigo, severo pubblico ministero ai tempi, appunto, di Tangentopoli. Dichiarazioni che possono riassumersi così: tutti i politici sono corrotti, si tratta soltanto di dimostrarlo.

Nella circostanza i parlamentari verdiniani (ex berlusconiani ora in anticamera di governo) riesumano la teoria del complotto, ordito – ovviamente – dalle stesse frange della magistratura che si accanirono contro Berlusconi e, prima, i politici della prima repubblica. Giuseppe Fanfani, giudice laico del Csm, organo di autogoverno della magistratura, a questo punto chiede l’apertura di una pratica disciplinare. Un togato, Piergiorgio Morosini, rilascia invece un’intervista al quotidiano Il Foglio nella quale sostiene praticamente che il premier Renzi deve essere mandato a casa. Urge, a questo punto, una decisa azione del ministro guardasigilli Andrea Orlando oltre che del vice presidente del Csm Giovanni Legnini.

Alla fine, generale corsa alla ritrattazione, e pace. Armata, naturalmente. Perché, al di là delle apparenze, lo scontro è reale e la posta in gioco non irrilevante. E va posta in relazione diretta alla decisione del premier Matteo Renzi di dare vita alla campagna a favore del referendum istituzionale, per il quale il presidente del Consiglio e segretario del Pd chiede – qualche giorno prima – ai suoi sostenitori di creare di 10 mila comitati. Ascoltate, infatti, che cosa avrebbe detto il consigliere Morosini al Foglio: “Se passa la riforma costituzionale abbinata all’Italicum il partito di maggioranza potrà decidere da solo i membri della Consulta e del Csm di nomina parlamentare. Renzi farà come Ronald Reagan, una bella infornata autoritaria di giudici della Suprema Corte allineati con il pensiero repubblicano su diritti civili, economia…uno scenario preoccupante“.

Parole che saranno anche non state pronunciate – come si è affrettato a smentire il giudice – ma che oggettivamente ben sintetizzano l’orientamento dell’ala dura e pura della magistratura.

La quale – si diceva – per la legge del contrappasso, a distanza di anni (era il 2011), almeno su un aspetto sembra voler fare giustizia indirettamente del torto lamentato da Silvio Berlusconi, allorquando, da capo del governo, fu costretto alle dimissioni da un altro – a suo dire, ma anche del giornalista Alan Friedman che ne scritte un libro – complotto. Un intrigo internazionale, appoggiato dall’interno, ordito sotto forma di speculazione finanziaria, che fece balzare lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi da 173 a 528 punti base, aprendo così – sull’onda del dramma economico – le porte al governo Monti.

Insomma, per farla breve, ora la procura di Trani ha aperto un’inchiesta nei confronti della Deutsche Bank con l’accusa di manipolazione del mercato. Il gruppo di Francoforte, infatti, “mentre comunicava ai mercati finanziari la sostenibilità del debito sovrano dell’Italia, nascondeva agli stessi mercati e al ministero dell’Economia italiano (Mef) la reale intenzione della Banca di ridurre drasticamente e nel brevissimo termine (nel primo semestre 2011) il possesso di titoli del debito italiano in portafoglio che a fine 2010 ammontava a otto miliardi di euro”. La vendita massiccia dei titoli di Stato italiani per oltre sette miliardi di euro entro giugno 2011 – secondo il pm Michele Ruggiero – ha alterato il valore di mercato dei titoli stessi perché è stata fatta violando la normativa in vigore. Staremo a vedere come finirà.

Intanto, sempre a proposito di banche, italiane questa volta (ma, a dire il vero, anche la Deutsche Bank non se la passa meglio): nella trascorsa ottava di borsa hanno registrato pesanti perdite, in scia non soltanto alle note problematiche di debolezza strutturale, ma soprattutto a Banca Popolare di Vicenza, che non è stata ammessa alla quotazione a causa del “troppo scarso flottante”. In pratica, soccorsa massicciamente dal fondo Atlante, la popolare se da una parte ha evitato il fallimento, dall’altra non ha trovato sufficienti sottoscrittori di azioni sul mercato.

Infine, in tema di banche, non si può non riportare l’ultimo avvertimento all’Italia della Banca centrale europea, a due settimane peraltro dalle decisioni della Commissione europea sui programmi di stabilità: occorre “assicurare che il rispetto dell’obiettivo di riduzione del debito non sia indebitamente rinviato”.

Quante noie per il giovane Matteo.