Politica, burocrazia, tar un paese in crisi di fiducia

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Un altro semaforo rosso, un’altra riforma bocciata per l’ex premier Matteo Renzi, ora alla guida del maggiore partito di governo. Ma si sa: l’Italia resta pur sempre il paese dove – per dirla con una battuta dell’ex ministro berlusconiano Giulio Tremonti – i grandi progetti, una volta ridimensionati dagli accordi spartitori dei partiti della maggioranza di turno e coi sindacati, vengono prima frenati dalla burocrazia, poi bloccati dai Tar e, infine, affossati dagli ecologisti. Ma per fortuna, questi ultimi, almeno in questa vicenda non c’entrano.
Dunque, la riforma in chiave finalmente manageriale della gestione dei musei e, più in generale, dell’immenso patrimonio culturale del Belpaese, era una delle poche sopravvissute e, in ogni caso, apprezzate dall’opinione pubblica, tra quelle varate dal vecchio esecutivo (province, scuola, Costituzione, Jobs act, pensioni eccetera). Riforma dei beni culturali, che in pochissimo tempo ha prodotto effetti positivi e documentati, ma che – come sapete – ieri l’altro si è impantanata nelle sabbie mobili dei ricorsi amministrativi. Legittimi, questi ultimi, per carità, almeno dal punto di vista dei ricorrenti, taluni dei quali autorevoli storici dell’arte, che però hanno maldigerito il fatto di vedersi scavalcare nel ruolo da concorrenti stranieri, benché cittadini europei, sulla scorta della normativa vigente che, evidentemente, il legislatore ha dimenticato di emendare.
Sicché viene quasi ovvio chiedersi: ma chi le scrive queste leggi, i politici o i tecnici? E, in ogni caso, la responsabilità di questo ennesimo pasticcio non ricade forse in capo ai primi e, cioè, alla classe governante? E se per riformare la gestione dei beni culturali occorreva prima cambiare i Tar, come ha commentato il segretario Pd, perché il suo governo non lo ha fatto? Peraltro, a nessuno sfugge la connessione diretta che esiste tra crescita economica e funzionalità del sistema giudiziario, a tutti i livelli e in ogni settore: dunque, perché non vi si pone mano?
Domande retoriche, evidentemente. E, tuttavia, a me appare addirittura delittuoso danneggiare, come di fatto è avvenuto con questa vicenda, così impunemente uno dei quattro settori (turismo, enogastronomia, moda e meccanica) che “in Italia tira e il mondo ci invidia”, per dirla con il presidente del Censis, Giuseppe De Rita. E sono vicende come queste che alimentano, probabilmente – come rileva l’Istat in questo mese di maggio – le ricorrenti cadute di fiducia tra le famiglie e le imprese, pure a dispetto della ripresa economica che comincia, sembrerebbe, a consolidare. L’indice del fatturato industriale mostra infatti una crescita dello 0,5% rispetto ad aprile per cui la dinamica trimestrale è ora a +0,4%. Scendono, però, come si diceva, gli ordinativi che pure erano balzati a febbraio.
A proposito di industria, piace la proposta lanciata dalla tribuna dell’assemblea annuale dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, di “azzerare il cuneo fiscale sull’assunzione dei giovani per i primi tre anni, sapendo fin d’ora che dopo dovremo ridurlo per tutti”. Ma rivela, tuttavia, un paradosso, almeno per le aziende del Sud. Nel 2017 sono già stati stanziati 8 mila euro di sgravi contributivi alle imprese che assumono giovani con meno di 25 anni disoccupati da almeno sei mesi. Ebbene, finora le imprese hanno utilizzato solo 100 dei 540 milioni disponibili. E dunque?
Tra le famiglie la sfiducia cresce, magari, anche con le voci ricorrenti di un ritorno dell’Imu sulle case, come è tornata a raccomandare Bruxelles a margine dell’ok attribuito, con non poche altre prescrizioni, alla recente manovra correttiva imposta al governo. Insomma, tutti sanno che il mattone, da Giuliano Amato in poi (inizio degli anni Novanta) è stato sempre considerato una sorta di bancomat da parte di tutti i governi. Specialmente quello dei tecnici (26 miliardi di introiti) perciò non rassicura più di tanto la smentita del ministro Pier Carlo Padoan. Né genera ottimismo – considerata la perdurante crisi – la lettura dello studio choc condotto dall’Istituto G. Pascale di Napoli secondo cui i pazienti in difficoltà economica hanno il 20% di rischio di morte più alto “rispetto ai malati senza tossicità finanziaria”. Né rallegrano, infine, le notizie che arrivano stranamente col contagocce da una Grecia in fiamme, dove l’ex premier ed ex presidente della banca centrale Lucas Papademos, 69 anni, è rimasto ferito in un attentato, mentre la gente è in rivolta, stremata dalla fame e nessuna possibilità di curarsi. La Grecia, uno stato dell’Unione Europea, per dire.
Fiducia che non si accompagna ai nuovi episodi di terrorismo, che non ha risparmiato neppure i bambini, come è avvenuto a Manchester in Inghilterra a Minya in Egitto. E probabilmente nemmeno al vertice dei Sette Grandi che si svolge a Taormina. O forse sì. In fondo, la speranza…