Politica, banche & scandali, in scena il reality del potere

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Banche, soldi, potere, politica. Gli ingredienti per un triller di successo ci sono tutti, solo che al cittadino medio, il quale suo malgrado è costretto a fare da spettatore supino, questa storia – immagino – non piace affatto.  Anche perché non di fiction si tratta, ma di nudo e crudo reality dai risvolti non certo positivi sulla collettività.

Ad ogni modo, ricordiamone per sommi capi protagonisti e trama. Tra i primi ci sono i vertici di Bankitalia e Consob, che dovrebbero vigilare e tutelare, ciascuno dal proprio canto, la stabilità del sistema bancario e gli interessi del risparmiatore; poi c’è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi, che oltre ad un indubbio fascino ha anche il torto di ritrovarsi quel piglio altezzoso da zarina che le conferisce un tono non sempre simpatico; e, come convitato di pietra, il suo babbo banchiere, il quale – ricorderete – era sulla tolda di comando di Banca Etruria prima che questa affondasse, trascinandosi nei flutti i salvadanai di molti piccoli risparmiatori. Ovviamente, nella storia centra pure il governo e, più in generale, il Parlamento che ha messo in scena la pantomima di una Commissione d’inchiesta  a pochi mesi dallo scioglimento delle Camere, con il rischio concreto e calcolato di mandare magari tutto a picco, dove il mare è bello profondo. Ed è appunto la Commissione d’inchiesta la scena del delitto, dove cioè la Boschi è stata chiamata pesantemente in causa dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas, e dove gli istituti di vigilanza hanno detto di avere mani legate per ottemperare al proprio mandato, esistendo quindici agenzie con lo stesso compito.

Ora, tralasciando i particolari, un fatto è certo. La commistione tra politica e banche (e più in generale il potere economico) può non piacere all’ignaro cittadino, ma c’è sempre stata. E così gli scandali. Fin dai tempi della Banca Romana, per dire. E però, una volta colti con le mani nella marmellata, sentirsi raccontare frottole e, peggio ancora, bugie è l’aspetto che più indigna i più.

E siccome in questo capitolo della storia dello scandalo delle Popolari c’è proprio il bue che dà del cornuto all’asino, nel senso che tutti mentono – questo, almeno, è ciò che pensa il cittadino medio – buon senso vorrebbe che tutti i protagonisti si facessero da parte.

E invece no. La Boschi – accusata prima dall’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, di aver chiesto all’ex Ceo dell’Unicredit, Federico Ghizzoni, di intervenire per tirare d’impaccio il babbo banchiere, ed ora dal presidente della Consob Giuseppe Vegas di un analogo episodio – resta ferma al suo posto: da qui non mi muovo, dice. E, naturalmente, il fiorentino ed ex premier ed ora segretario del Pd, Matteo Renzi, ne difende la posizione. E non è l’unica. In ossequio al principio di autonomia e prestigio che si trascina dietro chissà quanto meritatamente Bankitalia, al suo posto (anzi riconfermato) è rimasto anche Ignazio Visco, accusato a sua volta di aver poco vigilato. A lasciarci le penne, invece, sarà Giuseppe Vegas, ma non per la sua chiacchierata gestione dell’Istituto, più semplicemente perché il suo mandato non è rinnovabile. E siccome di lui si dice che già da tempo sia stato scaricato dal Pd …insomma, traetene voi le somme.

Certo la storia di affari e politica si intreccia con un’altra, forse anche più raccapricciante, di cui tempo fa si occupò la trasmissione televisiva Reporter. Parliamo dei derivati e dei rischi che ne potrebbero derivare al debito italiano. Secondo la Corte dei conti, infatti, “grazie all’inadeguatezza dei funzionari del Mef nel valutare i rischi dei prodotti acquistati da una primaria banca internazionale” (Morgan Stanley) – finora ci abbiamo rimesso 4 miliardi di euro, ma i contratti ancora in pancia allo Stato potrebbero rappresentare una bomba pronta a esplodere per altri 40 miliardi di euro.

E, come per ironia della sorte, la notizia rimbalza sulle agenzie in concomitanza con la periodica nota di aggiornamento del debito pubblico emessa da Bankitalia. Debito che a ottobre è salito a 2.289 miliardi e che è direttamente correlato, evidentemente, alla cattiva gestione della macchina burocratica. Apparato elefantiaco ed inefficiente che, secondo i dati fornita da Rete imprese presieduta da Carlo Sangalli, costa annualmente a 33 miliardi, vale a dire 8 mila euro per ogni impresa.

Ben si comprende, allora, in questo clima l’allarme lanciato da Confindustria che teme l’instabilità del quadro politico. Il Centro studi, infatti, per un verso afferma che “la crescita del Pil Italiano all’1,5% nel 2017 e la rialza all’1,5% nel 2018 (la precedente stima era del +1,3%)”, per l’altro aggiunge: “Ci sono seri rischi di arretramento con l’imminente voto politico”.

Per restare, infine, in tema di banche non si può non ricordare che la Fed, banca centrale americana, ha alzato di un quarto di punto i tassi di interesse, portandoli cioè in una forchetta tra 1,25 e1,50%, mentre la Bce – come si sa – li ha lasciati invariati. E meno male, verrebbe da aggiungere.