Pietro Finelli: tre domande sull’Arte e sulla Forma

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in foto Pietro Finelli, © Ph. Raffaella Trematore

L’occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

a cura della redazione

In mesi sì concitati, in cui al colore delle opere nei musei e nelle gallerie, chiusi al pubblico senza alcuna deroga, si sono sostituite le cromie di una mappa italiana generata dalla nuova emergenza Covid19, il mondo dell’arte ha continuato, seppur talvolta inascoltato, a lavorare, a pensare, ripensare e riprogettare, poiché anch’esso s’è ritrovato sospeso, ancora una volta. Poi sono arrivati dicembre ed alcune modifiche governative, sulle quali potremmo continuare a discutere per ore e giorni. Invece, L’Occhio di Leone preferisce, ora, concentrarsi su quanto gli artisti e tutte le altre figure di questo nostro universo continuano a portare avanti. Ad ottobre vi avevamo parlato di una interessante sfida milanese: “Oltre la Forma”, una mostra che, ideata per un importante museo internazionale estero, è stata presentata al pubblico italiano in una galleria privata, stimolando nuove riflessioni. Il Denaro ed Ilaria Sabatino avevano intervistato la curatrice, Azzurra Immediato e, da oggi, approfondiremo alcuni ragionamenti con 3 artisti ed il gallerista. La mostra, ancora in corso online e negli spazi di Area 35 Art Gallery, diventa spunto per interrogare le commistioni e le valenze di scelte e linguaggi uniti da differenze e affinità. La nostra indagine riprende con Paolo Finelli, teorico ed artista, presente in mostra – insieme con Luca Coser, Paolo Manazza, Mimmo Rotella, Mario Schifano e Tano Festa – ed a lui abbiamo posto le famigerate 3 domande che condividiamo con Voi lettori.

Pietro Finelli, per Lei, cos’è l’Arte?

Se l’Arte in generale è simbiosi di eterno ed effimero, fare arte oggi è un modo e una necessità di interrogarsi ed esperire una dimensione che sprofonda nel corpo, nell’uguaglianza spinoziana di pensare e agire. I modi possono essere tanti, quanti sono gli artisti. Ma mai esercizio retorico. Un’omeostasi della conoscenza, per parafrasare Antonio Damasio.

L’ultima mostra italiana di cui è protagonista, Oltre la Forma, a Milano, racconta del rapporto tra sei artisti e della loro traduzione del reale in pittura. Il titolo lascia intendere alcune concezioni ma la Forma cosa rappresenta nella sua esperienza artistica?
Rispondo con un riferimento cinematografico e una citazione da Paul Schrader che,nella sua definizione del cinema noir come «visione morale della vita basata sullo stile – life’s moral visionbased on the style», «capace di risolvere i conflitti in termini visivi e non tematici – able to solve conflictsthrough visual terms and notthematicones», indica e supera quella concezione dicotomica di contenuto/forma. Anzi la sposta e, in questo caso, parlando di stile (che vale anche per la Forma), la integra e diventa un modus operandi che sottoscrivo. E cioè un’arte che nella sua potenza visuale assorbe e incorpora i temi della rappresentazione e dei conflitti -non solo-, ma anche un modo per uscire da certa problematizzazione, così imperante e presente in tanta arte discorsiva, “impegnata”, tautologicamente autoreferenziale, un tipo di arte che assolve una “funzione”. Il contrario di quanto penso l’arte debba essere.

Cosa prospetta il panorama artistico oggi, secondo Lei e cosa, invece, si aspetta dalle istituzioni,pubbliche e private, all’indomani dell’emergenza Covid19 che ha travolto anche l’Arte?
Mi piacerebbe che fossero spazzate forme (insieme al virus), obsolete e indugianti allo spettacolo e all’”usabilità” dell’arte intesa nel senso di cui sopra. Questo periodo di profondissima crisi, sanitaria ed economica (non per tutti, perché stiamo assistendo, paradossalmente, a un aumento sconsiderato della ricchezza nelle mani di pochi), climatica, dovrebbe essere anche un momento fondamentale di ripensamento delle categorie di appartenenza economica, culturale, tanto per limitare il campo. Contro una buona parte di chi pensa, che tutto tornerà come prima, o, peggio ancora, che deve tornare come prima, la cosa migliore è quella di ragionare e interrogarsi su questo sistema economico che uccide molti a discapito di pochi, mettere in atto definitivamente quelle politiche di salvaguardia dell’ambiente e, per quanto riguarda l’arte, come essa può intervenire in questa situazione di sfacelo e ricomposizione che, si spera, seguirà. Non penso a un’arte politica asservita ad idee più o meno giuste, che hanno attraversato un po’ tutto il dibattito del ‘900. Nemmeno a una proposizione di generi e cioè di un tipo o medium più atto nel lavoro di questa ricomposizione. Bisognerà partire prima allargando i nostri concetti agli altri: siamo interconnessi gli uni con gli altri, questa immane tragedia che ha causato e sta causando tanti morti in tutto il pianeta, ci ha dimostrato anche come siamo fragili, come il virus ha fatto saltare intere categorie economiche e sociali. Siamo tutti più interconnessi e credo che la tecnologia ci abbia in un certo senso, anche aiutati. Penso a internet, che nel contesto attuale ci ha aiutati a stare meno soli ma anche a risolvere problemi di approvvigionamento, altrimenti molto complicati da gestire. Le gallerie e i musei, ma anche le fiere d’arte, le biennali e le mostre pubbliche e private, devono ripensare alcuni modelli. Non l’anarchia della rete, ma utilizzare in maniera più allargata il concetto di mostra, per esempio, favorendo i rapporti interdisciplinari e fra Paesi e persone di tutto il pianeta. Un museo, di arte antica o contemporanea, deve favorire scambi e rapporti, in maniera più accentuata. Non possono considerarsi come luoghi stabili di controllo o detentori di un sapere immutabile. Scardinare alcune categorie di gruppi di potere curatoriale che hanno creato dei compartimenti stagni, pur di rimanere nelle posizioni acquisite. Il museo e/o la mostra come cosa viva, non sclerotizzata di gruppi e di un sapere fermo e non in grado di dialogare con il mondo e le dinamiche e i mutamenti in corso. Più arte e meno sociologia (dell’arte).

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In ciò che Pietro Finelli definisce come fusione di ‘eterno ed effimero’ si stabilisce un cortocircuito con il reale che stiamo vivendo, in cui tali dimensioni si incontrano in maniera del tutto inusuale, sotto la spinta di quanto il momento storico sta imponendo. Il cambiamento, perciò, è e sarà da ricercarsi nella ‘forma’ ampiamente intesa, sia che si tratti di rappresentazione dell’Arte, in cui sarà necessario sostituire talune polverose precostituzioni, oramai prive di forza ed energia maieutica ed ontologica, sia che riguardi un ripensamento più ampio e generale, filosofico oseremmo dire, che sappia intercettare e scardinare quanto sino ad ora non ha saputo dare ‘giusta forma’ alle cose.
È anche in un simile dialogo che la mostra ‘Oltre la Forma’ si è inserita ed è stata prorogata, sia in galleria che online attraverso una 3D viewing, senza smettere di interrogarsi e chiedere allo spettatore cosa vi sia al di là del già noto, di quel che, molto probabilmente non funziona più.
Ai lettori vorremmo porre la medesima domanda: cos’è per voi la Forma, nell’arte e nella vita?
“Oltre la forma” è visibile online, tramite viewing room a questo link.

in foto Pietro Finelli, Club Silencio, film 1, olio su tela, 2020, dalla mostra Oltre la Forma, Milano, 2020, Area35ArtGallery, a cura di Azzurra Immediato