Perché l’arte e il dialogo possono salvare il Mediterraneo. A Napoli teologi e filosofi a confronto

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In foto un momento del convegno “Arte e dialogo nel Mediterraneo” promosso dalla Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia della Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale, che si è svolto ieri nel complesso dei Gesuiti di Posillipo, sede della Sezione San Luigi

di Fiorella Franchini

“Per diventare internazionali, dobbiamo appartenere a un Paese. Quel Paese, per me, è il Mediterraneo, che è sterminato patrimonio di culture e di visioni” scrive Mimmo Paladino e al Mare Nostrum è dedicato al convegno internazionale, con oltre duecento partecipanti, “Arte e dialogo nel Mediterraneo” promosso dalla Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia della Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale, che si è svolto il 30 marzo, a Napoli, presso il complesso dei Gesuiti di Posillipo, sede della Sezione San Luigi. Numerosi e prestigiosi gli interventi che si sono confrontati sul tema oggetto di una vasta letteratura. Il Mediterraneo non è mai stato come in questo momento, la parte del mondo in cui sembra vacillare un ordine costituito con lotte secolari pur restando una zona strategica per il destino globale. Favorire il riconoscimento reciproco in quest’area plurale e multiculturale è un impegno indispensabile e delicato. L’arte e la cultura possono affiancare la politica, la diplomazia nella ricerca del dialogo tra i popoli che si affacciano sulle sue sponde. Ha aperto i lavori Salvatore Settis, professore emerito alla Scuola Superiore Normale di Pisa, dopo i saluti di Giorgio Agnisola, condirettore della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia. “Attraverso il dialogo, la relazione, si possono costruire ponti di verità, di pace e di giustizia – ha dichiarato Agnisola -. L’arte attinge alle verità profonde dell’uomo, emerge come necessità di comunicazione al di là delle divisioni e delle differenze di classe, di credo, di civiltà. Può essere dunque un luogo privilegiato di incontro e di dialogo, contribuendo a riattivare quella che Aldo Masullo ha definito la “volontà di con-senso”, dell’insopprimibile bisogno di un “tu per vivere”. Il filosofo napoletano, insieme al sociologo Franco Ferrarotti, ha offerto il suo contributo agli oltre duecento iscritti attraverso video interviste. “Oggi, – ha affermato quest’ultimo- proprio alla luce della lezione storica bisogna rivendicare per il Mediterraneo il diritto di umanità”. Ogni essere umano è titolare di un diritto di umanità per cui diventa un essere inviolabile. Negarlo, cacciarlo, tenerlo lontano, costringerlo ad annegare significa violare un diritto fondamentale di umanità”. Non poteva mancare l’appoggio del sindaco di Napoli Luigi de Magistris, da sempre fautore della centralità del ruolo dei porti mediterranei, luoghi di accoglienza e di scambio d’esperienza umana.
La complessità e il continuo confronto di civiltà sono il fascino e, insieme, il dramma di questo territorio ideale e reale, fatto di problemi geopolitici e ambientali, economici ed ecologici. “Che cos’è il Mediterraneo? – si chiedeva lo storico francese Fernand Braudel – Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. Il convegno è una panoramica sulle infinite contaminazioni causate direttamente dalla geografia, essendo l’unico luogo al mondo su cui si affacciano tre continenti, una storia di scambi, più o meno pacifici, commerciali, culturali, demografici, ma anche uno sguardo nello spazio e nel tempo per cogliere le continuità delle sedimentazioni dentro le fratture della storia e della natura. Letteratura, musica, gusto, natura, mitologia, poesia, filosofia sono le direttrici che s’intersecano collegando le genti e i saperi. Giovanni Curatola, Professore ordinario di Archeologia e Storia dell’arte musulmana all’Università degli Studi di Udine, ha sottolineato il grande smercio di materiali, soprattutto tessili, avvenuto tra le varie sponde. Nel Trecento erano i lampassi orientali a raggiungere l’Europa, mentre nel Quattrocento furono le manifatture italiane a esportare tali beni. La produzione ceramica islamica, per qualità tecnica e artistica, è stata predominante a quella locale fino alla metà del Cinquecento ma quello che circolava maggiormente quale manufatto di prestigio e status symbol era il tappeto, non quello persiano bensì quello di produzione anatolica, siriana ed egiziana, proveniente dai due imperi, quello mamelucco e ottomano. Josè Ymenez professore di Teoria ed Estetica delle Arti, Universidad Autónoma di Madrid, ha tracciato un disegno delle acque del mare come fonte della vita. Nel territorio del simbolo, le acque sono sempre state una delle forme più intense di rappresentazione del mistero, dello sconosciuto in un percorso che attraverso la letteratura, l’arte, e il pensiero, si è sempre più arricchito di riferimenti e interrogativi sulla concezione simbolica delle acque come limite della vita, come acqua primordiale. “…Polvere di sole, scintillio d’armi, /Essenziale principio dei corpi e dello spirito, /In te i mondi s’affinano e si umanizzano, /In te noi ci rendiamo e i nostri dolori si elevano./Incombente antichità/Mediterraneo, oh, mar Mediterraneo!” ha cantato Albert Camus evocando le luci e le ombre di questo Mediterraneo che respira dentro gli spazi sacri delineati da Jean-Paul Hernandez, nei santuari, quei territori intagliati nell’ambiente naturale e paesaggistico, non di proprietà degli uomini ma di Dio e dei santi che vi si venerano. Uno spazio ritenuto inviolabile dove tutti quelli che vi si rifugiavano godevano del diritto di asilo. Nel mondo mediterraneo, racconta Andrè Vauchez, professore emerito di Storia Medievale, Università di Paris-Nanterre, esistono anche dei santuari condivisi, cioè frequentati da uomini e donne di diverse religioni. E’ il caso, nel Medio Oriente, di alcuni santuari legati al culto della Vergine Maria e della Santa Famiglia, ugualmente venerati e utilizzati dai cristiani e dai musulmani. Gli artisti nell’Africa “mediterranea”, dal Marocco all’Algeria, dalla Tunisia alla Libia, i colori stessi e i simboli di questa terra hanno profondamente influenzato l’arte occidentale. “Il termine “primitivo” – ha sostenuto Elena Pontiggia – nasconde una profonda ammirazione: le statue africane sono considerate dai protagonisti delle avanguardie più belle della Venere di Milo”.
Le due sessioni di studio e di dibattito del convegno, hanno ribadito quanto l’arte, da sempre, “descrivendo l’invisibile”, raccontando l’indicibile, dia figura alla fede, quanto sia lo strumento che i popoli hanno usato per comunicare agli altri la propria bellezza e i propri valori, il mezzo più efficace per creare un rapporto condiviso tra diverse visioni del mondo. “Il respiro mediterraneo degli interventi – ha dichiarato il Decano della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale, Sezione San Luigi, Pino Di Luccio SI – è una conferma dell’orizzonte internazionale verso il quale si muove la nostra Sezione, impegnata, secondo le indicazioni della Veritatis Gaudium, per una teologia in dialogo con tutti coloro ai quali stanno a cuore la cura della casa comune che è il pianeta, la costruzione di una società fondata sull’accoglienza e sul rispetto delle diversità”. La spiritualità e la creatività artistica, principi ancestrali dell’umano, si propongono come baluardo all’imbarbarimento delle coscienze, ai pericoli della razionalità sterile, alla violenza di tutti i fondamentalismi. Il nuovo Umanesimo ci impegna a sentirci responsabili di obiettivi comuni e condivisi, qui sulle sponde del Mediterraneo, mare antico, come quello di Montale, che ci ubriaca con la voce che esce dalle sue bocche, con la sua legge rischiosa, vasto e diverso.