Peppone e Don Camillo tornano d’attualità. Assieme a Enrico Mattei

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in foto Enrico Mattei

La camera ha votato con successo la fiducia al neonato governo Meloni. Peppone e Don Camillo saranno stati lieti di aver assistito all’evento da dove si trovano e constatato la ritrovata grinta di certa politica. Quella dei comizi in paese dai balconi delle case, con la chiamata in causa degli avversari in tempo reale, quasi in un botta e risposta. Il ricorso al vernacolo, se fosse una tantum, potrebbe essere accettato in loco con un minimo di benevolenza; fuori Roma, principalmente a Bruxelles, certamente molto meno. Mercoledì si replica al Senato e quindi a metà settimana dalle parole la signora Premier e la sua squadra dovranno passare ai fatti. Che sono tanti, sia per quanto riguarda gli affari interni che quelli esteri. Al momento hanno pari esigenza di essere affrontati in fretta, per cui la Capo del Governo dovrà essere pronta a agire, come dicono nell’agro, stando ben attenta a dare un colpo alla botte e uno ai cerchi che la tengono insieme. Ci sono inoltre incombenze fuori graduatoria per la loro importanza e che richiedono precedenza assoluta per avviare l’azione volta al loro contrasto, definibili trasversali. In testa sono la lievitazione mostruosa degli esborsi per le bollette a carico di aziende e famiglie, arrivati, come purtroppo non sfugge a nessuno, a livelli già da tempo insostenibili. L’azione è definibile, come indicato sopra, trasversale, in quanto si associa a quanto sta già facendo la Eu, perché il problema è comune anche agli altri inquilini della Casa Comune. A tal riguardo c’è un distinguo del Paese rispetto agli altri condomini che è evidenziato e messo in primo piano nella tempistica dell’azione di governo: la necessità di incrementare il più possibile lo sfruttamento dei giacimenti già disponibili e, a stretto giro, la ripresa dell’attività di trivellazione. Di pari passo dovrà marciare l’approntamento di un vademecum appropriato e di facile comprensione, contenente le indicazioni per l’uso corretto delle risorse idriche e energetiche naturali: il loro rispetto richiede una buona dose di coscienza civica e null’ altro. Resta comunque in testa alla classifica dei problemi cogenti l’attuazione di misure finanziarie, fiscali e assimilate per tranquillizzare quanti sono, il rischio è concreto e grave, vicini a usare la canna del gas per altri scopi. Tornando all’urgenza di sfruttare meglio quanto si ha in casa, intendendo per essa il Paese, potrebbero essere di aiuto anche alcune considerazioni di fatti avvenuti tempo fa e non solo in Italia. Nel Medioevo, periodo della storia che portò a una limitazione degli spostamenti anche verso contrade non molto lontane dal castello o dal monastero di riferimento, si sviluppò una forma di economia denominata, più avanti nel tempo, di corte o curtense. Il suo presupposto era, dove possibile, la produzione di quanto occorreva al di fuori delle mura ma entro un raggio il minore possibile dall’abitato. Superato questo stadio, nel tardo medioevo quel comportamento andò in disuso fino a scomparire. Non molti anni fa Umberto Eco rivisitò in maniera critica quello stile di vita e constatò che lo stesso, in maniera spontanea, era stato adottato un po’ in tutta l’Europa. L’autore ne trasse la conclusione che, per il tempo non breve della sua pratica e per l’epoca in cui fu adottata, una qualche validità doveva pure averla avuta. La premessa che oggi senz’altro quel modello sarebbe fuori luogo, soprattuto per la presenza della EU, resta immutata. Anche perché quanto innanzi accennato, sarebbe in grado solo di contenere il problema della dipendenza energetica del Paese, mai di eliminarla del tutto. Tanto ribadito, la conclusione è ovvia, bisognerà dosare le risorse necessarie per l’ attuazione di quanto appena ipotizzato con il contagocce. Se così non fosse, le conseguenze sarebbero particolarmente sgradevoli, dovendo infine ammettere che il gioco non valeva la candela. Di conseguenza si verificherebbe paradossalmente che tentando di risparmiare, si sarebbe fatto spreco. Non dovrà mai appannarsi davanti agli occhi dei governanti non solo italiani, ma anche di quelli del resto del mondo, la visione che la strategia vincente volta a evitare i problemi di ogni tipo di dipendenza, è il passaggio all’uso delle energie ottenute da fonti rinnovabili. Ciò premesso, si deve ritornare a considerare l’ ipotesi di un maggiore e migliore sfruttamento delle risorse che il Paese ha nella sua disponibilità. È noto che già il fondatore nonché primo presidente dell’Eni, Enrico Mattei, che all’inizio della sua attività sarebbe dovuto essere il Commissario Liquidatore dell’azienda mineraria all’ epoca esistente, l’ Agip, era arrivato alla conclusione che i giacimenti sotto il suolo e sotto il fondo del mare riferibili al Paese erano poca cosa. La decisione di dismettere l’Agip era stata presa dal governo dell’epoca perché le ricerche di idrocarburi da essa effettuate non avevano dato risultati tangibili. Inoltre le stesse indicavano una chiara e insormontabile diseconomia di gestione, qualora la stessa avesse proseguito la sua attività. Questa almeno la motivazione ufficiale e è opportuno non aggiungere altro. Mattei si convinse presto che il sottosuolo italiano non custodiva tesori ma chincaglieria energetica e pensò bene di aggiungere all’attività dell’ ente che avrebbe dovuto liquidare quella di trader. Essa avrebbe dovuto comprare per conto del governo italiano idrocarburi all’ estero direttamente all’origine. Scavalcando cosi le grandi Oil Company internazionali e entrando in competizione con esse. Solo per curiosità, Enrico Mattei mori iì 27 ottobre del 1962, precipitando misteriosamente con il suo aereo. Il pilota che lo conduceva era il Comandante Bertozzi, già figura di spicco dell’ Aviazione Militare Italiana, quindi più che esperto. Tutto è filato abbastanza liscio fin quando, dopo la parentesi di pace postbellica, non sono riprese varie ostilità dappertutto nel mondo. Anche se le stesse non hanno coinvolto direttamente il Paese ma i suoi alleati, quegli episodi hanno condizionato le condizioni di fornitura a esso riservate. La disponibilità di idrocarburi, in particolare quella di gas estraibile dal sottosuolo e dal fondo del mare, competenti alla penisola, non supererebbe, secondo le stime dell’ Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, il 10% del fabbisogno annuo del Paese. È senz’altro poca cosa, che avrebbe comunque conseguenze positive immediate sulla fattura energetica nazionale. Più precisamente, se all’ epoca in cui iniziarono le prime trivellazioni fu riscontrata una non convenienza delle stesse, oggi la situazione dovrebbe essersi molto probabilmente ribaltata. Tanto anche affrontando solo a spanne il calcolo e fatta salva la necessità di quantificare meglio quanto accennato.
Di fronte a lievitazioni che hanno fatto sballare ogni tipo di conto economico, quel circa 10 % di autoproduzione di gas, se anche arrivasse a costare solo il 50% di quanto lo sta pagando attualmente l’ Eni ai fornitori esteri, abbatterebbe, facendo la media ponderata, più che proporzionalmente il costo finale di quel combustibile. Sempre nel villaggio si dice che “un soldo risparmiato vale più di un soldo guadagnato”. Con molta prudenza sarebbe bene accontentarsi anche se avesse lo stesso valore. Soprattutto di questi tempi è di quelli prossimi venturi.