di Amedeo Lepore
La firma del Patto per Napoli e le parole di Mario Draghi, in questa occasione, mostrano la possibilità di un nuovo corso del meridionalismo. L’impegno a lungo termine assunto da Gaetano Manfredi è una forma di reciprocità nei confronti del Paese che può porre la città, come in epoche migliori, al centro della ripresa del Mezzogiorno. Di una responsabilità nazionale per il Sud parlano gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – come ha affermato Draghi – per “colmare i divari territoriali, ormai insopportabili”. È coerente con questo sforzo il modo in cui il Ministro Carfagna sta perseguendo lo scopo di una rinascita di questa parte dell’Italia, in un quadro di crescita economica e di convergenza con le aree centrosettentrionali, che potrà essere confermato dal Fondo di Sviluppo e Coesione, con una spinta ulteriore alle infrastrutture e agli investimenti industriali. Questa cornice favorevole, tuttavia, è sufficiente per delineare una fase di sviluppo? L’ammissione da parte del Presidente del Consiglio dell’esistenza di una “questione meridionale” e dell’esigenza di non ridurla a un atavico rivendicazionismo, sapendola affrontare con “urgenza, determinazione, unità e umiltà” per fare del Mezzogiorno una leva di progresso per l’intero Paese, rappresenta la consapevolezza della portata storica del compito. Il metodo delineato con il Patto propone istituzioni sempre più connesse agli interessi dei cittadini, a differenza del passato, e affida un ruolo da protagonista alla società, come interprete di un cambiamento di paradigma. I punti di forza del sistema produttivo meridionale e gli enormi finanziamenti enumerati da Draghi sono una condizione essenziale per il rilancio di Napoli e del Sud, ma devono essere sorretti, innanzitutto, da un mutamento di fondo nella capacità dell’amministrazione pubblica per un impiego proficuo delle risorse, scongiurando i vizi capitali degli sprechi o della mancata spesa. Il trasferimento al Comune di Napoli di 1 miliardo e 231 milioni di euro in vent’anni per il risanamento del bilancio è legato al conseguimento di tre obiettivi preminenti, in una corrispondenza biunivoca degli impegni, come avviene a livello europeo. Non è di poco conto per la città, infatti, prendersi l’onere di una normalizzazione della riscossione dei tributi, di una valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare e di una razionalizzazione delle aziende partecipate, anzi può diventare uno stimolo per l’insieme delle amministrazioni in difficoltà. Per completare il quadro, però, la “questione meridionale” merita di essere declinata anche in altre direzioni, a maggior ragione dopo il conflitto in terra ucraina e i suoi gravi effetti economico-sociali. In primo luogo, la governance dei Piani nazionali e, in particolare, il rapporto con Regioni ed enti locali, che sono i principali attuatori territoriali degli interventi, vanno rafforzati, avvalendosi dell’ausilio dell’Agenzia per la Coesione e delle strutture che già operano per fornire supporto organizzativo e assistenza tecnica ai progetti da svolgere. Andrebbe favorito, poi, il coordinamento delle iniziative con una finalità di carattere generale, come l’innalzamento dei livelli di produttività e occupazione. Mentre durante l’età dell’oro dell’economia italiana (1950-1973) la produttività del lavoro industriale ha registrato una netta convergenza tra il Nord e Sud, dagli anni Settanta in poi ha conosciuto andamenti alterni e, a partire dalla metà degli anni Novanta, ha visto prevalere una notevole divergenza e un calo delle quote complessive del Paese. È, dunque, la produttività il fattore cruciale della crescita meridionale, su cui puntare per assicurare competitività alle imprese, migliorare salari e occupazione, specialmente per giovani e donne. Infine, in tutte le azioni meridionaliste, va previsto un forte intreccio tra interventi pubblici e privati, in modo da imprimere un effetto leva fondamentale agli investimenti, attraverso un moltiplicatore delle risorse impiegate con il PNRR, i fondi strutturali e quelli nazionali. Il primo presidente della Cassa per il Mezzogiorno, Ferdinando Rocco, in un contesto assai diverso, sosteneva: “l’urgenza indilazionabile dell’azione che non ammette più indugi o rinvii, richiede continuità e tempestività e un coordinamento di attività pubbliche e private impossibile a conseguirsi attraverso il frazionamento delle competenze”. Dalle crisi che stiamo vivendo viene un impulso ancora maggiore alla trasformazione tecnologica e allo sviluppo innovativo. Perciò, il meridionalismo attuale deve collocarsi in una dimensione del tutto inedita, tra società e istituzioni, in una visione unitaria di Napoli, del Sud e dell’Italia.