Di nuovo alle Gallerie d’Italia. Il titolo è molto promettente: “ Metabolismo napoletano.”
Due fotografi di valore: Luciano e Marco Pedicini. Di nuovo, invece di una lunga fila, pochissimi visitatori. Cosa c’è che continua a non funzionare? Come mai, al di là dei roboanti titoli ed annunci, non si riempiono le sale, non si registrano risultati economicamente interessanti? Entriamoci pure in questa meravigliosa struttura, entriamo in Palazzo Zevallos ed ammiriamone l’architettura, le decorazioni, gli arredi. Anzi due volte alla settimana, ad ora di pranzo, sediamoci pure ad ascoltare piacevoli concerti di grande suggestione. Ne avrà beneficio il nostro animo. L’ora di pranzo, trascorsa nutrendosi di musica favorisce anche la serenità della prova costume. L’arte nutre e non ingrassa. Oltre alla musica, a Palazzo Zevallos, ci sono l’esposizione fissa e le mostre temporanee. In questi giorni la mostra fotografica dei Pedicini: Luciano e Marco. Un colto confronto tra modi d’arte e architettura contemporanei e antichi fotografati con sensibilità e maestria raffinatissime. Elementi del nostro paesaggio urbano sopra e sotto strada, affiancati a particolari d’arte e architettura del tempo che fu. Calda giornata feriale di giugno: pienone d turisti in città. Il piano dell’edificio dedicato alla mostra Pedicini è quasi deserto. Dalle 11,00 alle 12,30 due, dico soltanto due visitatori. Ognuno compie un giro veloce tra le opere esposte e va. Via. Senza chiedersi cosa, come, quando, perché. Ignorante il pubblico o poco accogliente la mostra? Come sempre nessuna delle due. Si tratta solo di una erronea gestione che si riflette in un allestimento dall’esito non proprio felice. L’esposizione ricalca i soliti modi espositivi. Identici per mostre d’arte antica o contemporanea, per ritratti o paesaggi. Spazi aperti, poche separazioni, luci basse e opere a muro. Qualche cartellone, didascalie con informazioni essenziali. Le esposizioni fisse incombono e aspettano al piano superiore. L’interpretazione della bellezza di Napoli in ogni tempo e luogo, attraverso la contaminazione di tracce tra antico e moderno, in fotografia. Molto intellettuale. Concentrazione, serve concentrazione. La coppia di visitatori affretta sempre più il passo. Difficile comprendere i legami tra le foto dell’antico e quelle di elementi della modernità fotografati ed affiancati ad esse. Il problema esiste. Non basta esporre opere. Il mondo ne è pieno. Capolavori conosciuti, opere d’arte di illustri sconosciuti. Per qual motivo un turista dovrebbe trovare tanto piacevole questa mostra da trattenersi davanti a ogni opera esposta? L’ambientazione è asettica. La luce bassa non esalta ciò che gli artisti hanno inteso rappresentare. Il significato di ogni accostamento tra antico e moderno è molto raffinato ed elitario: difficile da comprendere per chiunque voglia solo semplicemente provare emozione al cospetto del bello. Eppure il bello c’è, è innegabile, è sotto gli occhi del pubblico. La gente però non si emoziona. Si avvicina, legge la didascalia (ahi) e passa oltre. Ci risiamo: l’importanza della didascalia. E’ sicuramente interessante sapere che cosa abbia fotografato l’artista. Si può prendere atto delle opere o dei particolari che i Pedicini hanno voluto affiancare. È il perché che manca. Il visitatore culturalmente strutturato potrà forse trovare nelle linee, nei materiali o nelle luci lo spunto per apprezzare meglio le foto, ma il visitatore semplicemente interessato o incuriosito ha bisogno di qualche informazione aggiuntiva, qualcosa che gli susciti curiosità, voglia di verificare, di controllare, di partecipare all’opera. Se non c’è partecipazione non c’è emozione neanche se dall’atrio sottostante salgono le note di un bellissimo concerto di mezzogiorno.