Partecipate, la mappa dei tagli: in Campania e altre 7 Regioni più perdite che utili

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Il rischio chiusura per le partecipate pubbliche in rosso è altissimo e di certo non c’è futuro per quelle con ‘buchi’ superiori al 5% del fatturato. A stabilire la soglia è il decreto passato in Consiglio dei ministri giovedì sera. Una scure destinata a farsi sentire soprattutto in quelle zone, dal Piemonte alla Sicilia, dove le perdite superano gli utili.
La mappa dei tagli che emerge, guardando agli ultimi dati della Corte dei Conti, includerebbe otto Regioni, con una massiccia presenza del Mezzogiorno. L’Associazione dei magistrati contabili dà anche una stima delle società in deficit, un numero non da poco: 1.612. Le cifre riguardano i bilanci del 2013, a breve saranno disponibili quelli del 2014 ma, come rilevano le toghe, non ci dovrebbero essere capovolgimenti. L’ultimo rapporto presentato dalla Corte sugli ‘Organismi partecipati degli enti territoriali’ si focalizza su un universo di quasi cinque mila partecipate per cui sono disponibili i documenti, posto che il totale si aggira poco sotto le nove mila. Una ‘black list’ a livello territoriale includerebbe le Regioni dove il gap tra guadagni e uscite è ampio e sfavorevole: Sicilia, Campania, Calabria, Molise, Abruzzo, Lazio, Umbria sono le peggiori. Ma anche il Nord fa capolino, con il Friuli, dove comunque il divario è più ristretto, e con il Piemonte, considerando le società a totale partecipazione pubblica. E’ evidente come il Sud spicchi, in negativo, ma non bisogna dimenticare che la fetta più importante delle partecipate è localizzata nell’Italia settentrionale. In realtà la sforbiciata non conoscerà confini, d’altra parte si contano perdite totali per più di 1,3 miliardi di euro. Tuttavia, fa notare la stessa Corte nel dossier, gli utili complessivi sono in netto vantaggio (3,7 miliardi). Ci sono quindi delle società virtuose che controbilanciano ‘carrozzoni’, scatole vuote e doppioni. Tutte entità improduttive di cui il Governo vuole fare piazza pulita, comprese le micro-società che fatturano meno di 500 mila euro, non in numero esiguo, o quelle che hanno più amministratori che dipendenti (altre 800). La prima tornata di tagli scatterà a febbraio, quando saranno trascorsi sei mesi dall’entrata in vigore del decreto che attua la riforma Madia. Il provvedimento a inizio settimana arriverà di nuovo alle Camere e prima della pausa estiva sarà legge. Il testo non subirà grandi cambiamenti, le modifiche dell’ultimo Cdm hanno precisato la road-map dei tagli (nel 2017 la razionalizzazione straordinaria, dal 2018 quella ordinaria) e ristretto la possibilità, rispetto alla bozza in entrata, di riconoscere bonus ai manager anche in presenza di risultati negativi: sarà possibile solo in casi eccezionali e a fronte di miglioramenti.