Parole dell’innovazione, l’uomo che fa e quello che pensa

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La ‘nuvola’ informatica, il commercio elettronico, l’Internet mobile, l’Internet delle cose, l‘intelligenza artificiale e le macchine che apprendono come accade agli esseri umani innescano mutamenti nei modelli di business e sfumano i confini delle industrie. Genomica, nanotecnologie e robotica mettono in discussione quello che viene idealmente descritto come metodo scientifico. A stravolgimenti di tale portata è sottoposto l’essere umano nel suo doppio profilo di uomo che fa e di uomo che pensa.

Artigiano tecnologico
Nell’età della meccanizzazione si produsse una strozzatura tra il fare e il pensare: una menomazione mentale come l’ha definita Robert Sennett nel suo saggio “L’uomo artigiano”.
La rivoluzione digitale esalta la figura dell’artigiano tecnologico la cui mano che opera e la testa che pensa sono intimamente connesse. Homo Laborans e Homo Faber convivono nella sua persona. Egli è titolare di un mestiere in cui l’interazione tra dita e mente combina l’educazione tecnologica con le arti liberali. La tecnica adoperata per fare bene le cose è cultura materiale capace di creare immagini mentali senza l’uso dei sensi.
Nel vasto campo delle nuove tecnologie, l’artigiano è un artista. Riandando al tempo di Leonardo da Vinci, essere “pittore e ingegnere” è ciò che contraddistingue l’artigiano. Come dire che la tecnologia che ha la sua radice nella parola greca tékhne (cioè, “arte, mestiere”) è sposata con le arti liberali. Pittura, disegno, grafica, architettura, scultura e altre arti plastiche, musica, letteratura, psicologia, e storia permettono di farci un’idea sulla natura umana della tecnologia. Sono queste le fonti del design che dà a un prodotto tecnologico quel tocco di creatività ed empatia indispensabile per il suo successo. Qui risuonano le parole propagandate da Steve Jobs nell’atto di presentare l’iPad2: “È inscritta nel Dna della Apple la consapevolezza che la tecnologia da sola non basta, che è la tecnologia coniugata alle scienze umanistiche che produce il risultato che tanto ci entusiasma”.

Homo faber, Homo laborans
L’Home faber s’interroga sul ‘perché’ le cose accadono; l’Homo laborans sul ‘come’ accadono. Per quest’ultimo il ‘fare cose’ è un fine in se stesso, ed è dettato dalle necessità imposte dalla tecnologia. Sottomesso alla tecnologia o da essa piacevolmente attratto, egli è schiavo (Animal laborans l’ha definito Hannah Arendt nel suo saggio “La vita activa”) dei compiti da cui è assorbito per volere della tecnologia. Il suo fare è equiparabile al lavoro manuale delle passate rivoluzioni industriali. Basti pensare, ad esempio, alle macchine intelligenti che allertano i loro operatori quando avranno bisogno di manutenzione, o al cyborg (persona dotata di protesi artificiali), alla bionica e alla protesi computerizzata, che conferiscono al corpo umano le caratteristiche della macchina.

piero.formica@gmail.com