Parole dell’innovazione, l’eliocentrismo dell’imprenditore

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Ci sono parole che entrano nel vocabolario aziendale quando scade il valore di tre metafore culturali: precisamente, l’efficienza dei mercati, la razionalità degli individui e lo spontaneo movimento dell’economia verso uno stato ottimale. Per quanto ben vestite con gli abiti dei dati e dei modelli statistici, quelle metafore stanno perdendo di prestigio con la rivoluzione ‘copernicana’ in corso. Il geocentrismo del management cede il passo all’eliocentrismo dell’imprenditore. Costui è il sole che emana radiazioni in una varietà di forme quali l’immaginazione, l’intuizione e l’ispirazione che originano reazioni imprenditoriali. È qui che penetra nel lessico la parola “trans-managerialità”.

Trans-Managerialità
All’opposto dell’intra-managerialità che relega il manager entro il proprio silo cognitivo, la trans-managerialità supera le divisioni disciplinari.
L’interrogativo che resta aperto è se questo radicale cambiamento di prospettiva possa compiersi solo con un salto, oppure se sia possibile farlo anche con gradualità passando per le stazioni della managerialità incrociata (osservare il silo di un altro manager dalla visuale che ne ha quest’ultimo, anziché dalla propria), della multi-managerialità (manager di differenti aree aziendali che collaborano attingendo ciascuno dal suo pozzo di conoscenza) e della inter-managerialità (trovare una sintesi tra conoscenze e metodi che contraddistinguono i silos disciplinari).

Nibelunghi
Metafora della mitologia germanica, diamo il nome di Nibelunghi ai manager che detengono il vasto tesoro costituito dai clienti e dai consumatori. Siegfried, il visionario innovatore, s’impossesserà del loro patrimonio.
I manager nibelunghi sono gli esperti delle cose dure di oggi. Speculando sul domani prossimo, essi arrestano l’innovazione al confine dell’incrementalismo, facendo quanto necessario per salvaguardare la continuità delle vocazioni originarie. Il loro atteggiamento è una luce che, pur confermando il proprio punto di vista, può ingannare, inducendo a guardare dove si diffonde in fretta, senza però che lì ci sia altro e di più del miglioramento di ciò che già si sa fare bene. È indossando un tale costume culturale che i sacerdoti dell’incrementalismo calcolano il tempo sulla scorta di considerazioni economiche che rispecchiano il ritorno atteso dall’investimento. L’ipotesi a fondamento dei loro calcoli è che le perdite siano più dannose degli utili derivanti da guadagni di pari entità. Per non dire che – come arguiva John Maynard Keynes – “La saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale”.

piero.formica@gmail.com