Parigi val bene una conferenza, se è convocata per favorire il ritorno della pace

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in foto il presidente francese Emmanuel Macron (Imagoeconomica)

Martedì si è avuta la conferma di uno stato di fatto molto importante, la cui effettiva funzionalità viene messa ciclicamente in discussione. Verte su un interrogativo pregiudiziale, di per sé posto già con improbabile buona fede. Vale in merito ai risultati prodotti dalla attività della EU, cominciando da quelli materiali, che pure sono sotto gli occhi di tutti. Il quesito è se gli stessi giustifichino l’attività di quel mastodontico soggetto politico economico. Lo stesso che, nell’ultimo ventennio si è calato sempre più nella materiale operatività dei paesi che lo compongono. A tal proposto è necessario puntualizzare per la loro attualità che, inclusa nelle dichiarazioni al Parlamento nel corso della riunione di martedì, la Premier Meloni ha detto, di seguito è riportato sinteticamente, che se in Italia c’è tanta Europa, è necessario che si verifichi anche il reciproco, cioè tanta Italia in Europa. Una sola chiosa su tale affermazione è doveroso farla: vigente il Governo Draghi, la partecipazione, peraltro qualificata, del Paese si era già guadagnata una posizione di riferimento in quella struttura. La stessa che, al momento è vittima dei noti, gravi incidenti che la stanno colpendo direttamente nei gangli vitali. Si tratta dell’ inqualificabile scandalo provocato dai casi di corruzione di chi opera per la EU, politici e non solo, sia a Bruxelles che a Strasburgo. Esso e ormai noto come Qatargate. Non è di poco conto dover prendere atto che, ancora una volta, nelle rete della giustizia, per la precisione quella belga, le maglie hanno trattenuto anche degli italiani. Il caso sta bruciando proprio ora, quindi bisogna aspettarsi, con buona probabilità, la levata di altro fumo tossico da quel fuoco. Può essere più costruttivo prendere in considerazione quanto è stato deciso nella Conferenza di Parigi poco prima accennata.La capitale francese deve portare bene a quel tipo di riunioni, lo si desume da quanto è già successo. Una volta per la risoluzione del conflitto tra le due parti del Vietnam, quella Sud e la Nord e, ancora prima, con gli accordi tra i belligeranti alla fine dell’ultima guerra mondiale. La Conferenza dell’altro giorno, voluta dal presidente francese Macron, d’intesa con l’omologo degli Usa Biden, ha coinvolto poco più di 40 rappresentanti di varie nazioni anche fuori dei confini della EU, oltre la commissaria europea Von der Leyen. Il Presidente Zelensky è stato in collegamento via etere da Kiev. In quella occasione ha chiesto ai presenti in sala 800.000 euro a stretto giro per poter continuare i combattimenti. Quest’ ultimo deve essere rimasto piacevolmente sorpreso quando, per bocca della Signora Commissario, ha appreso che la cifra da ritenere subito disponibile per il fabbisogno impellente è pari a un milione di euro. Inoltre quella conferenza aveva stabilito di aiutare Kiev con rimesse mensili da un milione e mezzo di euro. Certamente quelle dichiarazioni, in particolare le ultime, provocheranno reazioni di vario genere, soprattutto negative, in ogni essere pensante, primi tra tutti i rappresenti politici. Qualche commento è venuto anche da un gruppo di Coltivatori Diretti che, non essendo potuti andare al lavoro nei campi a causa della pioggia, si sono riuniti informalmente al Bar Centrale. Con loro il locale Presidente che ha ritenuto opportuno non sprecare quel tempo, esprimendo con linguaggio adeguato ai suoi elettori ciò che sta accadendo nel mondo. Riferendosi all’ Ucraina, quel numero uno dei campi ha dato notizie ai suoi amici di zappa di quanto era stato appena stabilito a Parigi. Appena completata l’informativa, ha raccolto la dichiarazione del più acculturato, ma anche più infiammabile, dell’improvvisata platea:” poi dicono sempre ( i politici, ndr ) che mancano i soldi!”. Il consenso che ha ricevuto è stato unanime e a esso si è aggiunto anche quello degli altri avventori presenti. Scavalcando a piè pari quell’ episodio, è d’obbligo fare una constatazione a livello poco più alto di quello espresso dalla rustica comitiva appena descritta. Le discipline in genere hanno due connotazioni per le materie che trattano: una versione di applicazione pressochè universale in tempo di pace e una che amplia il proprio campo di operatività in tempo di guerra, Tra di esse trova spazio anche l’economia. Oltre alla produzione di articoli realizzati e commercializzati normalmente in tempi di pace, se proprio necessario con poche correzioni e adattamenti per l’utilizzo più estremo in guerra, esiste un’ industria di guerra tout court che, in tempi normali continua a produrre, seppure in maniera ridotta. È questa l’industria delle armi e dei mezzi da combattimento di ogni genere. Che almeno una parte del mondo, anche se a macchie di leopardo, sia sempre in guerra, è una constatazione pressochè lapalissiana. Che ciò che viene distrutto, a pace raggiunta, dovrà essere ricostruito è altrettanto vero. Ritorna così attuale il titolo del film di circa mezzo secolo fa “Finché c’è guerra c’è speranza”, diretto e interpretato da Alberto Sordi. In esso l’attore interpreta la parte di un mercante di armi suo malgrado perchè sobillato da una famiglia sempre più esigente. Senza dimenticare che nel villaggio è sempre in voga il detto: “chi fa e poi disfa, non perde mai tempo”, Aggiungendo che altrettanto si verifica per i soldi. Prende così corpo un altro detto dei campi; “chi non compra e non vende, non sale e non scende” in una particolare quanto discutibile scala dei valori. In base a essa il primo motore…mobile di ogni conflitto bellico si conferma il denaro. Oggi è preferito quello virtuale perché non lascia tracce dei suoi passaggi di mano. Eppure c’è ancora chi crede che l’illecito in generale sia consumabile solo con il denaro contante: beata ingenuità. Vera o recitata che essa sia, la differenza della connotazione è minima. Così il malaffare, dotato di molte vite, continua a dilagare e sarà bene aumentare gli sforzi per contenerlo prima che arrivi al punto di non ritorno.