Paolo Calabresi si racconta dall’hotel Caruso: I limoni di Ravello? Mi ricordano gli odori della mia infanzia

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in foto Olanda Mansi, Paolo Calabresi, e il team dell'hotel Caruso

di Emilia Filocamo

E’ ottobre, ma un ottobre dolce, con il sole ancora insistente ed una luce chiara che confonde ed arriva limpida fino ai divanetti ocra della sala living del Caruso. Oltre il balcone, si scorge netto il profilo della Chiesa di San Giovanni del Toro. Attendo l’attore Paolo Calabresi, che non ha certo bisogno di presentazioni, tra i volti noti premiati all’edizione 2024 di Facce da Spot, tenutasi all’Auditorium Ara Pacis di Roma lo scorso 20 settembre, kermesse ideata da Maximiliano Gigliucci e Graziano Scarabicchi. Calabresi mi raggiunge puntuale per la nostra intervista: gli ho promesso di rubargli non più di cinque minuti ma al Caruso e a Ravello, il tempo è soltanto una definizione, e viene ” domato” con un corso diverso, che è tipico del luogo, grazie alla bellezza e ad un’atmosfera  che può capire e riconoscere soltanto chi ci vive o chi c’è stato.

Paolo Calabresi come spettatore. Cosa ti tiene incollato allo schermo e cosa, invece, ti annoia terribilmente?

Partiamo da quello che mi piace, visto che di cose che non mi piacciono e che mi annoiano, ce ne sono un’infinità. Sono visceralmente e nostalgicamente legato alle commedie romantiche americane: Tootsie, ad esempio, rappresenta per me la perfezione. E poi tutta la tradizione che segue con film come Harry ti presento Sally e molti altri.  Mi riferisco alle commedie romantiche che solo gli americani sono in grado di scrivere, in cui nulla è superfluo, gettato lì a caso, ma tutto assolutamente necessario. Commedie in cui il meccanismo è un ingranaggio perfetto, basato su una scrittura altrettanto perfetta e che non vuole scimmiottare cose che non conosce realmente.

Dunque tutto parte dalla sceneggiatura, giusto?

Assolutamente, è fondamentale. Anche se, devo ammetterlo, io ho imparato questo mestiere proprio recitando le cose più brutte. E’ ovvio e scontato che sei bravo  se reciti in un film diretto da Tornatore , anzi fu proprio Tornatore a farmi notare questo aspetto. Quando mi scelse per il film La Corrispondenza, mi disse che solo io ero in grado di interpretare quel ruolo e mi citò  il film Un Natale stupefacente, in cui avevo recitato. Un film ovviamente non pretenzioso, concepito e nato per essere nient’altro da quello che era. Eppure, il fatto che lui ricordasse quel film mi ha stupito tanto e   fatto riflettere. Mi permetto di dire che, a differenza di altri colleghi, che quasi rigettano le cose brutte a cui hanno lavorato, io ne sono fiero perché è quello il vero banco di prova, quando devi confrontarti appunto con sceneggiature scritte male, con dialoghi e trame improbabili. Se riesci a fare bene quello, puoi fare bene tutto.

Quali sono le paure più comuni per un attore?

Sicuramente la precarietà. E’ un elemento,  un rischio imprescindibile del nostro mestiere che, tuttavia, nessuno di noi riesce ad accettare e metabolizzare pienamente. Penso che in realtà si traduca per lo più in paura di restare soli, di non essere cercati, di essere messi da parte e dimenticati, di non essere richiesti, scelti. E’ la paura peggiore per chi è narcisista, un vero e proprio affronto, visto che gli attori basano tutto il  proprio lavoro sulla condivisione e sulla comunicazione.

Il giorno esatto in cui hai capito che recitare sarebbe stato il tuo futuro?

Non credo che  posso parlare di un giorno esatto perché non era assolutamente previsto che facessi questo mestiere. Provengo da una famiglia romana, borghese, e non ho nessun precedente artistico in casa. Ho cominciato facendo dei provini alla scuola del  Piccolo Teatro di Milano, la scuola di Strehler. Una volta passata la seconda selezione, ho capito che se anche non fossi mai arrivato alla terza, quella sarebbe stata la mia strada e che sarei andato avanti. Tra l’altro  il desiderio di fare l’attore non è nato in giovane età. Ho cominciato che ero già piuttosto grande, avevo ventidue anni, frequentavo la Facoltà di Giurisprudenza e mi mancavano soltanto 5 anni alla laurea. Mia madre mi ha sempre rimproverato per questa scelta.

Prossimi progetti? A cosa stai lavorando?

Sono presente in diversi film. Il 23 dicembre uscirà nelle sale Cortina Express, in cui ho recitato accanto a Lillo e a Christian De Sica, il film è stato girato tutto tra Cortina e Roma. Poi il 16 ottobre prossimo, sarà presentato al Festival di Roma un film a cui tengo molto, Berlinguer, la grande ambizione, che uscirà nelle sale il 31 ottobre. Sempre a dicembre, riprenderò la tournee di Perfetti Sconosciuti che ci sta dando soddisfazioni incredibili. Penso infatti che probabilmente, considerate tutte le richieste e le repliche, lo rifaremo per almeno altri 15 anni.

C’è stato nella tua vita qualcuno che non avrebbe mai scommesso sul tuo successo? E cosa vorresti  dirgli oggi?

A parte i miei genitori che erano letteralmente terrorizzati,  non per mancanza di fiducia nei miei confronti ma per il fatto che entrassi a far parte di un mondo sconosciuto, in cui facilmente ci si perde, come purtroppo è accaduto a tanti miei colleghi, posso dirti che, in generale, tutto l’ambiente da cui provengo non avrebbe scommesso 2 lire sul mio successo. In queste circostanze c’è sempre una certa forma di snobismo che in realtà nasconde altro, nasconde invidia per una vita non omologata, in cui si è più liberi. E’ una diffidenza che nasconde il non poter vivere o essere  come siamo probabilmente noi attori. Cosa gli direi? Che gli voglio bene lo stesso.

Se oggi invece potessi dire un grazie, a chi lo diresti?
Direi grazie a mio padre, per il suo silenzio quando ero diretto a Milano per affrontare la terza selezione. Sarei dovuto salire in treno da Roma e invece lui decise di accompagnarmi in auto. Durante tutto il tragitto non disse una sola parola, non era un uomo che parlava molto.  Mi accompagnò come fece la mamma di Sophia Loren – sorride – poi, una volta arrivati al Piccolo Teatro,  all’ingresso, mi disse ” Giudizio”. Era il suo modo, un modo antico, per ricordarmi di preservare la mia onestà intellettuale non soltanto in quel frangente, quello della selezione, ma per tutta la vita.  E poi dico grazie a Strehler che mi ha catapultato in un mondo meraviglioso in cui posso raccontare storie, interpretare e vivere altre vite, tante vite.

Siamo in un luogo di vacanza per eccellenza ma anche di ispirazione. Cosa ispira Paolo  Calabresi e cosa stimola la tua creatività?
Io non ho dei riti o dei luoghi particolari. Anzi, posso dirti che le cose più creative sono nate nei momenti di maggiore difficoltà e di grande dolore. Quindi, qui a Ravello, e soprattutto in questo hotel, non riuscirei a scrivere nemmeno una parola, tantomeno a pensare nulla. Sono completamente immerso nella bellezza. Quando riemergerò, e affronterò la realtà quotidiana, con i suoi affanni, i dolori immensi,   le vicissitudini o  gli mpegni legati alla vita familiare, ho 4 figli, ecco allora riprenderò a creare

Il Ristorante Belvedere del Caruso che vi ha accolti ieri sera, è il trionfo della tradizione rivisitata in modo sublime e virtuosistico  ma senza eccessi, una riconducibilità di sapori legata alle emozioni. C’è un sapore preciso, specifico, che associ al tuo ricordo d’infanzia più bello o più caro?
Può sembrare una risposta scontata ma il gusto ed il profumo di limone che qui sono nell’aria e nei piatti, ovunque, mi riportano ad un ricordo molto intenso,   quando facevamo le nostre vacanze estive e le vacanze duravano fino al 5 ottobre, perché allora si tornava a scuola  più tardi. Ricordo che avevamo una casa sulla Flacca, tra Terracina e il Circeo, e il profumo e i sapori del Caruso, li ricollego ai limoni e agli agrumi di quelle vacanze.
Per Paolo Calabresi è tempo di immergersi nuovamente nella tranquillità del Caruso, tra il solletico e gli aromi dello sfusato amalfitano. Non è il momento per l’ ispirazione o per la  scrittura:  l’ozio creativo per Calabresi si frattura in un momento di contemplazione in cui, messi fuori affanni e preoccupazioni, emerge solo il bello.
Il bello di un Gimlet, aperitivo/ vessillo dell’hotel che celebra i limoneti, di una foto dal Loggiato, di una passeggiata sotto il pergolato del Belvedere prima che domani sia di nuovo Roma, poi ancora set, ciak, premi, riviste.
Adesso, ancora per qualche ora, ci sono soltanto il Caruso. E Ravello.