Palestre, il caro prezzo delle chiusure imposte dal Governo. A rischio 120 mila addetti e oltre 16 mila strutture

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di Francesco Russo

La chiusura delle palestre in Italia fa registrare numeri importanti e mette i gestori di queste ultime in difficili condizioni per poter ripartire. I dati Uecoop (Unione europea delle cooperative) dimostrano che su 20 milioni di italiani, ben il 25,2% pratica ginnastica, fitness, body building o aerobica (senza considerare il calcio o altri sport).
Il rallentamento nella riapertura di questa tipologia di attività, mette a rischio 120 mila operatori ed oltre 16 mila strutture in tutto il Paese, ed il nuovo dpcm in vigore dal 7 al 30 aprile 2021, sottolinea una linea dura confermata da Mario Draghi e dal suo esecutivo.
La motivazione sarebbe dettata dalla curva epidemiologica, che a detta degli esperti, mostra ancora numeri troppo alti, il che obbliga ad un ulteriore prolungamento delle chiusure, per la maggioranza delle categorie sportive.
Dal punto di vista del sostentamento economico di queste attività, si vocifera di un nuovo scostamento di bilancio che dovrebbe essere comunicato al 10 aprile per finanziare gli esercizi che non potranno svolgere la loro attività, ma su questo rimangono dubbi e perplessità, soprattutto sul metodo di assegnazione dei fondi. Ma andiamo per gradi.
Lo scorso 22 marzo, si è tenuta una manifestazione in piazza che ha coinvolto il mondo del Benessere e nella quale sottolineiamo le parole di Nicola Diomaiuta, presidente dell’Area Immagine e Benessere di Confesercenti Campania, che dichiara: “Siamo stati chiusi anche con la seconda ondata a prescindere dalla colorazione della zona. Non è chiaro perché noi siamo stati esclusi senza fare delle valutazioni più approfondite. Ci sono attività che non hanno più aperto, e che forse non riapriranno più e la situazione è attualmente critica. I ristori sono ridicoli anche perché alcune strutture si sono subito mobilitate per adeguare i propri dispositivi di sicurezza, senza poi avere la possibilità di poter operare. La mia posizione in merito è chiara: possiamo fare anche a meno dei ristori, ma lasciate riaprire le attività perché sono state messe in sicurezza… c’è la disponibilità di poterlo fare e questo va permesso”.
E proprio sulla riapertura si apre un capitolo diverso: quello dei verbali. Secondo il presidente dell’Anpals (Associazione nazionale delle palestre e strutture private sportive), Giampiero Guglielmi, anche i verbali non fanno più paura, in quanto i gestori di palestre non hanno più nulla da perdere e il tutto diventa una questione di sopravvivenza.
Sulla sparizione di oltre il 40% delle strutture sportive già scomparse, sembrano non soddisfare le proposte del Governo, che avrebbe relegato l’attività fisica a “non fondamentale”, mentre i dati degli ammalati fisici (una patologia su tutte è l’obesità), continuano ad aumentare. In merito si esprime Damiano Rossi, co-founder e city manager di FitPrime, un’applicazione che permette la flessibilità del wellness, e che raccogliendo più di 1.500 strutture in Italia, permette di avere una stima abbastanza concreta di quello che sta succedendo in Italia nel mondo delle palestre: “Il primo lockdown è già stato difficile da superare per il mondo delle palestre, e se parliamo di numeri, nella sola prima fase, c’è stato un abbandono da parte degli imprenditori del fitness che ha toccato il 4%. Stima fisiologica anche se non accettabile. Secondo le stime di questa seconda chiusura, invece, nel caso in cui non si corra quanto prima ai ripari, le chiusure toccheranno il 20% delle strutture, e questo è dovuto anche ad una stima economica molto semplice. Per tornare ad incassare le palestre non dovranno fare solo i conti con le riaperture, bensì con la maggior parte di abbonamenti congelati da portare a termine e che rallenterà la ripresa del fatturato. Le chiusure potrebbero arrivare al 30% post-apertura ovvero quasi una palestra su 3, rischia di non sopravvivere”.
E in termini di perdite economiche, non è molto chiara la situazione in termini di risanamento del settore, anche perché i ristori di emergenza non sembrerebbero adeguati alle perdite. A tal proposito, importanti sono le dichiarazioni del dottore Commercialista Vincenzo Cardo (dello studio Corbello, Cardo, Gravante): “Il ristoro che sarà erogato a partire dal mese di aprile è sicuramente un primo ammortizzatore (ideato con i pochi fondi a disposizione) che può tornare utile, ma crea purtroppo iniquità: equipara aziende che hanno subito perdite di fatturato, potendo comunque operare, ad aziende che – loro malgrado – hanno subito chiusure forzate che durano ancora oggi. Pertanto è auspicabile che, nei prossimi interventi economici già annunciati dal Governo, si riesca ad intervenire con maggiore incisività a favore delle aziende che hanno subito chiusure di diversi mesi. Aiutare le stesse non solo dal punto di vista della perdita di redditività, ma anche sul fronte investimenti (si pensi ad esempio ad una palestra che ha rinnovato il parco attrezzi pochi mesi/anni prima dell’avvio della pandemia e che quindi non è ancora rientrata degli investimenti) con interventi in conto impianti ‘rafforzati e previsti anche su investimenti già effettuati’ potrebbe permettere una migliore ripartenza a settori economici in ginocchio”.
E la chiusura delle palestre porta anche a nuovi risvolti che toccano direttamente i cittadini. Il primo è l’aumento eccessivo dei prezzi delle attrezzature per l’home work out. La spesa per le postazioni domestiche di fitness è arrivata a 457 euro, con un aumento calcolato di circa il 60% di manubri con pesi e cyclette, e del 30% per panche e accessori. L’aumento del fitness in casa, ha inoltre incrementato un mercato di presunti “personal trainer” che praticano lezioni a pagamento sfruttando i social network, e non avendo una posizione fiscale, ricevendo quindi compensi attraverso circuiti di interscambio monetario non tracciabili. Ma di questo ne parleremo in altra sede.