DICONO che una volta ogni anno è lecito impazzire. Giusto? Ed io approfitto per staccare adesso il ticket 2014. La voglio dire grossa, e grossolana. Il guaio lo ha fatto l’istituto per gli studi filosofici… Di più: ha fatto un DICONO che una volta ogni anno è lecito impazzire. Giusto? Ed io approfitto per staccare adesso il ticket 2014. La voglio dire grossa, e grossolana. Il guaio lo ha fatto l’istituto per gli studi filosofici… Di più: ha fatto un grande danno al Mezzogiorno intero. Lo dico provocatoriamente, ma senza alcun riferimento alla sua specifica missione. Senza mettere in discussione il ruolo che l’istituto ha avuto nel suo peculiare campo di attività. Il focus è un altro. E cioè: che cosa ha evocato per anni quel faro culturale sul piano simbolico? Che cosa ha richiamato e rimarcato, per anni, nell’immaginario di una intera generazione di intellettuali? Scegliendo come sede Palazzo Serra di Cassano, sappiamo bene che la logistica c’entra poco, perché è la location con ogni evidenza è carica di significato, parla da sola. E’ quasi un tempio della grande narrazione dell’illuminismo partenopeo, la rivoluzione tradita, la Repubblica del 1799 finita nel sangue. Eretto nella prima metà del XVIII secolo da Ferdinando Sanfelice, il portone storico del palazzo è una icona sacra negli anni, perché venne chiuso dal 1799 in segno di lutto e di protesta dal principe Serra di Cassano, per l’esecuzione del figlio, giustiziato in seguito ai fatti 1799, nei quali il giovane nobile fu dichiarato partecipe. Le elités illuminate di Napoli e del Mezzogiorno si riconoscono in questo mito, anche se qualcuno –Vincenzo Cuoco – ebbe molto da ridire circa il mito del ’99, anzitutto sulla incapacità della Repubblica partenopea di assumere ruolo di ceto egemone nello sforzo di sollevare al rango di un popolo una moltitudine di lazzari. Il dramma del 99 è una ferita della storia patria da cui nasce – qui è Raffaele La Capria che parla – la debolezza della classe dirigente locale, che mai ha trovato la forza per guidare la propria comunità di riferimento verso una società moderna, avanzata, prospera. Il guaio quindi viene da lontano. Palazzo Serra di Cassano lo sancisce. Sta in capo a Monte di Dio l’origine di un profondo vulnus contro il Sud: aver consolidato la concezione che ogni singolo aspetto della vicenda borbonica, in quanto antitesi alle Liberté francese-napoleonica, sia da considerarsi retrograda e reazionaria fino alla brutalità. Stringendo, anzi, un’alleanza lessicale con le elités piemontesi all’altezza della lunga Unificazione italiana, che i Borbone ebbero nel mirino delle carabine. E’ un lessico familiare, nondimeno amorale, quello che ha ridotto la parola “borbonico” al peggiore degli epiteti. E “neo-borbonico” alla stregua della più tagliente delle stroncature. “Borbonico” e “neoborbonico”, nella polemica di tutti i giorni, potrebbero sostituire la locuzione “vade retro Satàn” in un esorcismo. Il risultato è sempre lo stesso. Farsi del male da soli, perversione che gli intellettuali (e non solo) del Mezzogiorno coltivano con ostinazione libertina.
Claudio D’Acquino