La Voluntary disclosure è un procedimento di “pacificazione fiscale” tra il contribuente e l’amministrazione, a iniziativa del contribuente stesso. Nato negli Stati Uniti negli anni ’90, è tornato d’attualità nei programmi La Voluntary disclosure è un procedimento di “pacificazione fiscale” tra il contribuente e l’amministrazione, a iniziativa del contribuente stesso. Nato negli Stati Uniti negli anni ’90, è tornato d’attualità nei programmi di emersione per i depositi esteri promossi da vari Paesi europei. In Italia è stato recepito nel decreto legge 4/2014, convertito ieri ma solo dopo aver eliminato proprio la norma sulla voluntary. Norma che comunque dovrebbe tornare prestissimo in un Ddl che inizierebbe il suo iter già dalla prossima settimana. Con la voluntary disclosure, oltre a pagare tasse e interessi sul pregresso, il contribuente si impegna inoltre a rivelare all’amministrazione tutti i suoi aver esteri in “nero”. La “Voluntary Disclosure” consente agli italiani che detengono attività finanziarie o patrimoniali all’estero non dichiarate al Fisco, di sanare la loro posizione, anche penale, pagando le relative imposte e le sanzioni in misura ridotta. A tale procedimento, sono collegate le disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonche’ per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di auto riciclaggio di cui alla LEGGE 15 dicembre 2014, n. 186 (GU n. 292 del 17-12-2014). Entra così in vigore nel sistema penale il reato di autoriciclaggio sul quale il legislatore accoglie le sollecitazioni dettate dalle Convenzioni pattizie (la Convenzione penale di Strasburgo sulla corruzione e la Convenzione Onu, rispettivamente ratificate in Italia con la legge 28 giugno 2012 n. 110 e con la legge 16 marzo 2006 n. 146) che prevedono l’autoriciclaggio quale ipotesi delittuosa autonoma, anche se la Germania, ad esempio, ne esclude la rilevanza penale e la Francia assegna solo all’interpretazione giurisprudenziale il riconoscimento di questa fattispecie. L’introduzione di questo reato è stata necessaria per colmare una lacuna normativa del nostro ordinamento. Infatti, il delitto di riciclaggio, così come formulato dall’art. 648-bis c.p., punisce chi ricicla denaro, beni o altre utilità provenienti da un delitto non colposo commesso da un altro soggetto, mentre nessuna sanzione era prevista per chi ricicla in prima persona, cioè sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo da egli commesso (o che ha concorso a commettere), ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Il legislatore, anziché seguire il percorso più semplice, limitandosi ad eliminare la clausola di riserva, prevista dall’art. 648 bis C.P. che impedisce all’autore del reato presupposto di poter concorrere nel riciclaggio del provente illecito, ha preferito costruire un’ipotesi autonoma disciplinata dall’art. 648 ter 1 del codice penale che regola espressamente l’autoriciclaggio. La nuova norma punisce colui che dopo aver commesso o concorso a commettere un reato non colposo impiega, sostituisce o trasferisce denaro beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale reato, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Il richiamo fatto dalla norma alla necessità che la condotta di autoriciclaggio sia concretamente idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, del bene o delle altre utilità introduce un freno ad una possibile interpretazione generalizzata che potrebbe assegnare rilevanza penale alla semplice modalità di sostituzione, trasferimento o impiego. Anche se l’autoriciclaggio investe una serie di condotte, allargate a quelle economiche e finanziarie, che non erano previste nell’elaborato della Commissione Fiandaca che limitava l’autoriciclaggio alle sole attività imprenditoriali e speculative, il richiamo all’idoneità della condotta ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa dei denari, dei beni o delle altre utilità, sta a significare che il semplice versamento del profitto del reato presupposto non possa integrare il delitto di autoriciclaggio, perché la condotta si rivela inidonea ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Le difficoltà maggiori a livello interpretativo del nuovo reato di autoriciclaggio riguarderanno, soprattutto, il tema dei reati tributari. Mentre nel vigore della L. 516/82, la cosiddetta manette agli evasori, il reato tributario consisteva nella mancata annotazione o fatturazione dei ricavi da parte del contribuente, ed era quindi facile individuarne il profitto, la nuova legge penale tributaria, introdotta nel 2000, fa coincidere, soprattutto per i reati tributari più significativi commessi con il mezzo della dichiarazione (frode fiscale, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione), il profitto del reato tributario con l’imposta evasa, ossia con il risparmio fiscale. In questi casi – come sottolineano gli esperti della materia – non c’è un arricchimento patrimoniale che consente d’individuare il profitto, ma un mancato impoverimento, conseguente all’evasione d’imposta che determina il risparmio fiscale. E’ vero che il risparmio fiscale può rientrare nel concetto di altre utilità cui fa riferimento la norma che ricomprende nei proventi oggetto dell’autoriciclaggio oltre il denaro ed i beni, anche le altre utilità, ma risulta estremamente difficile individuare ed isolare nel patrimonio dell’autore del reato tributario il provento rappresentato dal risparmio fiscale. In primo luogo perché tra la condotta che integra il reato tributario, ad esempio la dichiarazione infedele, consistente nella mancata annotazione nelle scritture contabili obbligatorie dei ricavi percepiti e la consumazione dello stesso che si perfeziona con la presentazione della dichiarazione, intercorre un notevole lasso di tempo, per cui fino a quando non verrà presentata la dichiarazione infedele o fraudolenta non potrà parlarsi di impiego, sostituzione o trasferimento. Ma soprattutto, consistendo il profitto del reato, non già nell’omessa annotazione di corrispettivi, cioè nella mancata dichiarazione delle somme incassate, ma nell’imposta evasa cioè nel risparmio fiscale, la determinazione dell’imposta evasa è un processo che può prestarsi, come spesso accade, alla più arbitraria interpretazione da parte degli organi accertatori, che poi sono quelli che trasmettono all’autorità giudiziaria la notizia di reato. Ed è sulla base di una notizia di reato, frutto di soluzioni rimesse a criteri presuntivi che dominano la materia tributaria e che si rivelano spesso contraddittori ed arbitrari, che si fonda il reato tributario presupposto il cui profitto potrà essere oggetto di autoriciclaggio da parte dell’autore del reato presupposto. In questi casi, cioè in presenza di reati tributari si potrà iniziare un’indagine per autoriciclaggio solo ove sia intervenuta una risposta seria, frutto di un’indagine adeguata e non di un semplice accertamento tributario, che può costituire la notizia di reato, sull’entità dell’imposta evasa che rappresenta uno degli elementi costitutivi del reato di frode fiscale mediante artifizi, o di dichiarazione infedele. Sarà forse necessaria una sorta di pregiudiziale tributaria che accerti correttamente l’entità dell’imposta evasa, prima di procedere per autoriciclaggio del profitto derivante dal reato tributario. Non saranno pochi i problemi che l’introduzione del reato di autoriclaggio potrà sollevare, ma quello dell’autoriciclaggio del provento dei reati tributari verrà ad assumere un ruolo centrale. Il reato di autoriciclaggio previsto dal 648 ter 1 che prevede la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 per “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attivita’ economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilita’ provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Pene più lievi (reclusione da uno a quattro anni e multa da euro 2.500 a euro 12.500) nell’ipotesi del secondo comma, quando “il denaro, i beni o le altre utilita’ provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni”.