Oniriche e imperfette Le città secondo Gambardella

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Come un ambo secco del gioco del lotto, “Città imperfette” propone in abbinamento le sorti della città con quelle della imperfezione, una giocata Come un ambo secco del gioco del lotto, “Città imperfette” propone in abbinamento le sorti della città con quelle della imperfezione, una giocata su tante ruote, quelle che di volta in volta si pongono come mete del viaggio onirico del colto architetto, sospese in un responsabile ascolto. Un ciclo di 13 opere inedite in tecnica mista di grande formato e 20 disegni costituiscono il corpo della prima personale di Cherubino Gambardella, curata da Maurizio Siniscalco, nella cui galleria partenopea (via Romaniello, 21) saranno esposte da oggi fino al 5 aprile con il patrocinio dell’Associazione Culturale Arteas in collaborazione con l’Ivb e la Uerj di Rio de Janeiro. Città in attesa di cura, di un impegno soprattutto dell’animo ma che trattengono proprio nella loro imperfezione la forza della voce, l’urgenza della loro messa in discussione. Le opere esposte, pur nella freschezza del disegno a mano libera e della proposta immaginifica, soffrono di accumulo di densità e trasmettono nella carica ossessiva l’aggravio di responsabilità sentito da Cherubino. I personaggi incontrati nel viaggio sono le architetture, raccolte talvolta nella grande metafora del tempo, talvolta nella ideazione, poste in paesaggi contestualizzati nella scena del sogno, animati da luci, stagioni, materie. Frammenti estratti dal repertorio classico e della modernità, o solo rilasciati da una intuizione progettuale, in contesti sinteticamente rappresentati, costituiscono materia per collage e montaggi che danno campo ad impreviste reazioni poetiche. Anche solo per un attimo, il tempo di una impressione, nel superamento delle restrizioni fisiche e temporali, il fermo della rappresentazione grafica costituisce una forma di appagamento, un punto di stabilità, un freno al collasso nella fascinazione di una bellezza eclettica e democratica. Cieli turbolenti in indaco gravano su campiture in magenta, dense come il sangue, solventi per parcheggi interrati; cieli grigi come lo smog fanno da sfondo a torri di vetro dalle facciate irrisolvibili, simboli del crescere impetuoso ma anche della forza architettonica; blocchi edilizi, poggiati su acqua o su basoli di eruttiva donazione. Impressioni. Solitudine esprime il cipresso, escluso dalle quinte murate, nel cercare una meta nell’occhio della grande volta di baiana memoria; solidarietà offrono gli abbracci tra gli edifici condominiali innanzi alle silenti incomprensioni di segaligni; immenso è lo sforzo che bisogna impegnare per superare la città generica, nel rispetto della tradizione e nel confronto con l’urgenza di nuovi significati. Eppure quanta fiducia è riposta nella capacità di invenzione architettonica, nei visionari accostamenti tra standard e imperfezioni, emblemi e dissonanze, certo e imprevedibile. “Niente paura Cherubino: è tutta scena”, e come una scena ben riuscita, detiene un raggio di azione che va dalla rappresentazione alla conoscenza di un rinnovato senso delle città possibili, volgendo le spalle, con ironia, alla inerzia e alla rassegnata mancanza di utopia.

Carolina Cigala