Oltre Cartesio, per fare innovazione (e soldi) serve agire

73

Nel Bazar delle Follie non è ammesso lo scienziato imprenditore il cui motto è “Io penso, io agisco e perciò costruisco”.

A caratterizzare un’età rinascimentale è il cambiamento irreversibile del modo in cui la società scioglie i nodi che nel tempo si sono intrecciati tra conoscenza, cultura, istruzione, arte, scienza e ogni altro aspetto del sapere. La persona rinascimentale li scioglie non separando i fili del sapere da quelli del fare. La locuzione cartesiana “cogito ergo sum’ (I think therefore I am) si accoppia con quella proposta da Edward de Bono, il padre del pensiero laterale (1967) – “ago ergo erigo” (I act therefore I construct). La persona rinascimentale valorizza il pensiero con l’azione del fare. Costui genera un’interazione tra i propri algoritmi mentali e la loro traduzione in processi produttivi, sia fisici che nel dominio della realtà virtuale. Una figura rappresentativa della conoscenza in azione è quella dello scienziato che dalle sue scoperte trae spunti imprenditoriali che danno vita a una sua startup trainata dalla scienza.

Lo spirito e il pensiero rinascimentale sfidano le opinioni comunemente diffuse sugli scienziati. Si usa dire che i loro luoghi ideali siano i grandi centri di ricerca delle università più prestigiose dove godrebbero di piena autonomia e potrebbero fare affidamento su pregiate risorse umane e ricchi fondi di ricerca. Non così nell’industria dove, anche se le risorse disponibili fossero cospicue, gli scienziati usufruirebbero di molto meno libertà per la segretezza imposta ai risultati delle loro indagini, e dove la qualità delle loro ricerche sarebbe inferiore dovendosi prevalentemente occupare di ricerca applicata meno stimolante a confronto con la ricerca pura. Né i lauti guadagni elargiti dall’industria invoglierebbero gli scienziati tanto da farli desistere dal continuare a svolgere un lavoro così interessante come quello che offrono i centri di ricerca accademici.

Sono pensatori rinascimentali come Steven Shapin, storico e sociologo della scienza all’Università di Harvard che mettono a soqquadro l’edificio della scienza così come viene di solito descritto. Dice Shapin nell’intervista rilasciata a seguito della pubblicazione del sul libro The Scientific Life: A Moral History of a Late Modern Vocation (2008 http://www.press.uchicago.edu/Misc/Chicago/750248in.html), “Se osserviamo la ricerca pura condotta nel settore industriale e quella che si fa nel mondo accademico, molte delle differenze più propagandate descrivono la situazione piuttosto male. Se l’autonomia è il problema, molti scienziati industriali sin all’inizio del XX secolo ne hanno goduto al pari dei loro colleghi accademici. E lo stesso vale per la segretezza e l’apertura mentale. Un netto contrasto di qualità della scienza tra università e industria, a favore della prima, non si giustifica alla prova dei fatti, mentre è puramente dogmatica la presunzione che ricerca applicata e sviluppo richiedano meno potenzialità cerebrali rispetto alla ricerca pura”.

Come in qualche misura accadde con la stampa ai tempi di Gutenberg, oggi facendo leva sulle tecnologie digitali sono le idee e i contenuti ad acquistare quel valore commerciale che nell’età industriale era stato riservato ai beni materiali. È così che nel profilo rinascimentale dello scienziato s’intravedono sempre più marcati i tratti dell’imprenditore. Un profilo, però, non egualmente visibile nelle diverse parti del mondo. Nella storia imprenditoriale dell’India e dell’Italia, per esempio, la figura dello scienziato imprenditore è stata sì importante, tuttavia marginale osservando il centro della scena occupato da operai e tecnici della manifattura, fondatori di imprese che hanno reso fecondo il terreno dell’industria nei due paesi.

Affinché si possa far lievitare il numero di scienziati che fondano imprese riuscendo a trovare pari interesse nel lavoro di ricerca e nella sua traduzione imprenditoriale, è necessario che un paese disponga di laboratori di ricerca industriali dove gli scienziati possano coniugare il pensiero con l’azione. Avendo trasferito all’estero i laboratori di ricerca delle grandi aziende e non riuscendo a attrarne di nuovi, un paese incontra difficoltà insormontabili nel dare vita a nuove industrie che sono alimentati dalle scoperte scientifiche e in cui gli scienziati svolgono il ruolo di (co) fondatori. Questo è quello che è successo in Italia una volta che IBM e Microsoft rilocarono altrove i loro laboratori già presenti nel paese.

piero.formica@gmail.com