Nove artisti italiani, il confine tra parola e immagine in mostra alla Galleria Area 24 Space

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L’Occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte, in Italia e all’estero, avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Gaetano Romano

Nove artisti italiani, questo il titolo della collettiva in corso, inaugurata nel mese di Marzo alla Galleria Area 24 Space di Napoli ( Via Ferrara, 4 ) diretta da Andrea Della Rossa, che raccoglie le opere degli artisti Luigi Auriemma, Antonio Barbagallo, Prisco De Vivo, Pina Della Rossa, Giuseppe Di Guida, Luigi Pagano, Enzo Palumbo, Felix Policastro, Stefania Sabatino.

Galleria Area 24 SpaceGalleria Area 24 SpaceLa definizione Nove artisti italiani, si deve ad Andrea Della Rossa, che ha ritenuto di definire in questo modo le ricerche serrate e protratte nel tempo di questi nove artisti impegnati e tenaci sui fronti delle loro investigazioni; a partire da Luigi Auriemma – che, con Media Words e We Are The Other ( Cornice, vetro e pittura industriale ) del 2022, indaga il confine esistente tra parola e immagine, tra senso e perdita di senso nell’odierna società dove tutto brucia in fretta e si consuma, trasformandosi talvolta in spettacolo, come aveva profetizzato acutamente Guy Debord.

Allora all’artista tocca ritornare a ritroso, ai sensi primari destrutturati e scarnificati della parola, per ritrovare, forse, una nuova nascita del senso, non disgiunta da una forte e intensa critica radicale e messa in causa dei diritti inviolabili dell’uomo, come ha fatto di recente Auriemma, collocando nella piazza di Rotondi, in provincia di Avellino, una sua opera in lamierato giallo che grida a squarciagola “ Ovunque, Sempre, Diritti Umani “ di dolorosa attualità in questi giorni di guerra e di umanità calpestata. Attira l’artista la parola e il suo sottofondo noumenico nascosto, mentre si relaziona con la trasparenza del vetro e con la sacralità dell’immagine del corpo di Cristo evocata dall’ostia.

Anche Antonio Barbagallo, coltiva in segreto nelle maglie della sua pittura, l’origine della ferita che perseguita il genere umano dal tempo primordiale, che rende lampante nelle due tecniche miste – Confine di polvere – 1step – tav.1/2 –  su tavola presentate, ove il rammendo e la cucitura, la superficie della rappresentazione lacerata e trafitta in più punti, fanno pensare ad un campo di forze in conflitto proveniente dalle ricerche aniconiche e informali di imperitura memoria. Intense e struggenti nella loro desolante icastica assenza, riportano la tabula picta al grado zero, il più vicino all’umano.

Prisco De Vivo, pittore e poeta, ama attraversare con il fuoco alle calcagna la vita di mistiche e poetesse, come in queste opere quivi presentate;  – Tre sentieri sul lago –  e –  Petali rosa per Ingeborg – ( lavoro dedicato a Ingeborg Bachmann ) la sfortunata poetessa tedesca che scriveva parole incise nella carne che viveva nei pressi di Roma, perita nel fuoco in seguito ad una tragica fatalità.

Entrambe le opere riflettono il tono ardente dell’emozione/omaggio, e nel transito visivo emerge la capacità, non comune dell’artista, di duettare con la figura evocata e amata su registri non usuali, richiamandola fremente dal silenzio oblioso, quasi la sua immagine, il suo corpo ormai cadavere, vivesse ancora nei suoi colori materici.

Pina Della Rossa, unica fotografa in questo contesto, che dialoga saggiamente con gli artisti presenti, è espressione di impegno di lungo corso, sin dagli anni ottanta percorre con le sue immagini i luoghi  inanimati dell’abbandono e dello scarto, e dello smarrimento dell’identità –  poi virando verso l’impegno sociale con progetti incentrati sulla violenza alle donne.

L’inclinazione dello sguardo spazia lungimirante nella cornice della Natura, dove ci conduce l’obliquo guardare dell’artista e la sua ricerca, tutt’ora in corso, chiamata –  Dopo la battaglia – che rasenta con inflessibile fermezza, gli spazi abitati dagli alberi murati, una sorta di cammino zen fra gli alberi e i fili d’erba, e tutti i segni del mondo a noi consegnato,<<  selva oscura che la diritta via era smarrita >> scriveva il sommo Alighieri.

Che le due opere presentate – Silenzio 001 –  2010, Fotografia su alluminio Dibond e Struttura 001xd – 2013 Puzzle su alluminio preverniciato nero, Fotografia, stampa Fineart su alluminio calamitato, rappresentano pienamente lo stigma della sua inconfondibile ricerca e del suo occhio assoluto.

Giuseppe Di Guida, impegnato da sempre con progetti di respiro sociale in aree dismesse, e in particolar modo nell’ex Manicomio di Aversa, dove con varie incursioni d’arte e progetti site-specific, ha inteso manifestare e portare alla luce il disagio tangibile di chi non

ha più voce, dando impulso alla nascita del Museo della Follia –  perché come annotava Foucault  << dal profondo del Medioevo il folle è colui il cui discorso non può circolare come quello degli altri  >> . La critica radicale ai sistemi di potere e in particolare al capitalismo, con le sue deformanti manomissioni della psiche umana, connota concettualmente la sua ricerca tenace e di matrice fortemente concettuale, che individua e smaschera i simboli del potere con il ricorso a colori e forme simboliche che si imprimono indelebili in chi osserva, come confermano le opere presentate – Infiammabile, 2018, e Morte a-riva del 2016 – .

Luigi Pagano, con non comune abilità di decenni di impegno e sperimentazioni con materie eteroclite, sempre nel dominio di colori e materie terragne, e guardando alle alchimie della natura, i due poli fenomenici dove si racchiude la sua esegesi di rabdomante, che cerca percorsi, scorrimenti, crinali dove un lucore lo attende, mai domato – con le opere in rassegna  – Black hole – 2019, tecnica mista su lastra e –  Nero fumo –  1, 2, 3 tecnica mista su lastra, entrambe di notevole forza, raggiunge un nuovo ragguardevole risultato. Superfici scarne ed essenziali, quando ricerca filamenti e segni riaffioranti, deflagrante pittura quando penetra il cosmo e le sue luci.

Enzo Palumbo, attivo tra le polarità della ricerca pittorica e quella della scultura, è da sempre figura di sperimentatore acuto, che ricerca percorsi espressivi non usuali e poco praticati che meglio si addicono alla sua personalità, che sembra andare in direzione di Baudrillard, il filosofo francese che indicava << l’ironia superiore dell’opera d’arte, a cui mirava Baudelaire – una merce superiormente ironica >> .

E osservando attentamente le sue ricerche degli ultimi anni, oscillanti nella ricerca di un oggetto plastico che costruisca ponti, alimenti il possibile, e coltivi l’utopia –  come in Antipodi, la recente mostra a Castel dell’Ovo –  la pittura e le due Tecniche miste del 2021, in rassegna, confermano la forte e lucida tensione dell’artista di dar corpo ad una ricerca di forme inedite, racchiuse nel termine Zografogonia, che spalanca visioni inquietanti sul serbatoio inesauribile dell’immaginazione non convenzionale, a cui è legittimo ascrivere queste immagini.

Felix Policastro, riconoscibile al primo acchito con le sue creature nell’atto di scattare, è figura di fertile e fecondo visionario sin dagli anni novanta, quando la natura e il suo serbatoio inesauribile di richiami e memorie coltivate nei suoi anni venezuelani, lo hanno formato.

Poi il tempo e le sue alte capacità compositive, tra segno e materie esplorate sempre con l’orecchio teso a captare il più piccolo sbigottimento della materia, nel corso dei secoli anche Paestum, la ricca e fertile colonia della Magna Grecia ha gettato e ritirato, le sue reti con i ritrovamenti archeologici, serbatoio inesauribile di colori e di forme pure ed essenziali, che hanno fomentato lo spirito di Policastro, producendo in lui, una attività fabbrile che ha coinvolto, pittura, scultura, design, e preziosi libri d’arte. Presente con –  Calca – Olio su cartone riciclato + timbri in acrilici e –  Duel – Fiberglass in rilievo, olio su tavola, sagoma in vetro sabbiato. Ovunque sempre vivo il suo sigillo.

La ricerca dell’artista partenopea Stefania Sabatino, si articola tra pittura, design, installazioni, e video arte, ed è presente con una composizione di N.6 tele, dal titolo – Presenze e passi-fuori – Tecnica mista su tela, che conferma la sua attitudine a scomporre l’immagine in quadranti ricchi di vita propria, che nel complesso articolato ed icastico dell’immagine, di chiara marca informale e gestuale, si connotano come quadreria di moti tellurici ove il colore con la sua forza evocativa e fenomenica, apre osservatori sulla natura e il cosmo.

Mentre il fondo bianco trattiene e sterilizza il moto, le ampie campiture di blu cobalto sciolgono in emozionanti flussi il colore che è sempre colore di qualcosa, di fenomenico, e di cosale.