Nick Stupore e i tre nodi del marinaio, il noir riflessivo di Bruno Pezzella

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di Fiorella Franchini

Quando un saggista, giornalista e critico teatrale, organizzatore di mostre ed eventi come Bruno Pezzella, decide di scrivere un romanzo, “Non c’è dubbio: -avrebbe detto Doris Lessing – la narrativa fa un lavoro migliore della verità”. La storia costruita intorno al protagonista Nick Stupore seduce più di un frammento di vero. La suspense cattura fin dalle prime pagine, con una concatenazione di eventi, di personaggi, di parole tale da far sì che il lettore non smetta mai di domandarsi cosa succederà dopo. Apparentemente l’autore lo costruisce come un giallo, ci sono delle vittime, qualcuno che investiga, ci sono le indagini sul crimine, un probabile assassino, lo scioglimento finale dell’intreccio, eppure appare subito evidente una sorta di ricetta fusion in cui si mescolano ingredienti diversi, poliziesco, fantasy, psicologico.

Bruno perché un saggista decide di scrivere un giallo?

Ho cominciato 25 anni fa. Allora i noir non erano, come adesso, diventati “virali” (absit iniuria) e fatta eccezione per i grandi della letteratura, venivano considerati “romanzetti”. Col senno di poi, avrei fatto bene ad essere più coraggioso, perché certe mie idee le ho ritrovate in altri romanzi, evidentemente erano nell’aria. Devo dire che scrivere noir è molto divertente. Avevo intenzione di mettere alla berlina tutti i commissari, gli ispettori, i detective dei quali è affollato l’immaginario noir attuale, che ormai, per come e concepito, è un prodotto da discount, molto scadente.

Una lunga storia quello del poliziesco, tanti autori importanti, mille declinazioni del giallo e tutto non solo a livello letterario ma anche attraverso le alte forme di racconto, il cinema, la televisione, il fumetto, i giochi. Un successo che sembra aver fagocitato tutti gli altri generi letterari, creando un appiattimento.


Perché Nick Stupore è una detective story insolita?

Nick Stupore è un romanzo, me lo riconosce la critica. Piuttosto un fantasy che si svolge nel mondo virtuale dei video giochi. Nick è un “homo game”, un uomo della modernità che si avvantaggia dell’informatica, ma come creativo finisce per esserne vittima. Ma è un po’ il destino di tutti gli intellettuali, di tutti i tempi.

Nick è un “artista” di successo ma è un solitario, passa la giornata a ideare videogiochi, ha pochi amici, non ha una compagna e, da quando è cambiata la proprietà della società di software per la quale lavora, ha rapporti difficili con il suo capo. I suoi comportamenti sono alquanto insoliti: va in giro tutte le notti con il suo fuoristrada, molti dei suoi videogiochi sono ispirati a una serie di delitti che si stanno verificando da qualche tempo e che sembrano condurre proprio a lui ma, inizialmente, pare non avere piena coscienza di ciò che sta succedendo. Intanto, conosce Arianna, una giovane collega che lo spinge a fare esperienze nuove e una bomba esplode in un bar nel centro di Roma.

A quali modelli narrativi ti sei inspirato?
Agli americani per la gestione del plot e la scrittura, King, Ellroy, tanti altri, l’inglese Le Carrè. Ma amo più di tutti Antonio Tabucchi, che considero uno dei più grandi scrittori italiani del novecento. Poi, Vazquez Montalban, gli spagnoli e i latino americani sono grandi scrittori, anche qui ce ne sono tanti. Tra i napoletani Attilio Veraldi che è l’inventore del genere napoletano. Devo dire qui, per inciso, che andrebbe riletto attentamente Mastriani, il primo di tutti. Ma non soltanto loro, amo la letteratura in generale. Mi piacciono Grossman, Fante, Haruf, Bukowski. Adoro Kafka. Insomma per uno scrittore conta molto la formazione.

Le circostanze precipitano Nick dentro un vissuto estremo, tra reale e virtuale. Egli stenta a capire di essere lo strumento di una macchinazione criminale e, lentamente, da assassino diventa vittima predestinata. Un romanzo in divenire, che sembra restare incompiuto fino all’ultima pagina. La detective story di Pezzella s’inserisce nel range meno consumistico del genere, quello che si è affermato come l’erede più incisivo dell’engagement, deputato alla riflessione filosofica e alla messinscena della natura umana e dei suoi orrori, della società e delle sue lotte, della politica e dei suoi intrighi. Nick Stupore …e i tre nodi del marinaio – Rogiosi Editore – ha le caratteristiche di un gioco enigmistico, di una sfida che l’autore ingaggia con il lettore, il criminale con il detective, peculiarità che si fondono con il mystery e implicano una disciplina mentale, impongono una costrizione che il consumismo culturale reputa ormai inaccettabile e insopportabile. Un romanzo che richiede allo scrittore e un po’ anche a chi legge, delle doti complesse, un’attenzione ai dettagli, un’accurata costruzione della trama.

Ci descrivi i personaggi principali?
Oltre al protagonista, incontriamo decina tra commissari e ispettori, perché i delitti di cui è accusato Nick avvengono in tutta Italia. Lo scopo è quello di dimostrare che ormai questi sono degli stereotipi piuttosto abusati, come in tutte le forme d’arte cristallizzate. Amo molto il cattivo e mellifluo Direttore della multinazionale di software dove lavora Nick. E’ il paradigma del neo liberismo che sta distruggendo proprio le menti più libere. Poi Mario, vecchio professore deluso e prigioniero della propria cultura classica. Poi c’è un personaggio “meccanico”, è il fuoristrada sul quale Nick passa intere notti. Nick parla col suo fuoristrada e il parabrezza del SUV sostituisce, molte volte, lo schermo del computer. Il parabrezza diventa un surrogato virtuale della realtà.

Che valenza ha il personaggio di Arianna?
Arianna è giovane, magnetica, bella. Diventa lentamente la coscienza di Nick, poi la sua complice. Per Nick è la musa, con lei cerca di riempire le proprie solitudini, di condividere le proprie creazioni fantastiche, fatte di uomini volanti, di luccichii, di bagliori, ma anche di sangue e di violenza. Ma in fondo la vera musa di Nick è una donna, anch’essa virtuale, una donna “disegnata”, Valentina, un personaggio stupendo, creato da Guido Crepax, una creazione artistica d’intima e voluttuosa plasticità. E’ la carta che diventa carne.

Una scrittura con una grande caratteristica riflessiva, specchio passivo della violenza e del senso di morte della nostra società ma anche una riflessione esistenziale sulla consapevolezza della solitudine e della sua necessità di essere tale.

Quali sono le tematiche che hai cercato di inserire?
Il tema portante del mio romanzo verte sull’equilibrio precario tra reale e virtuale, una condizione della modernità, prassi esistenziale alla quale le generazioni di una certa età (ma non solo) sono poco abituate. Beninteso, tutti ne apprezziamo i vantaggi, ma tutti cogliamo i limiti e i pericoli. Alla fine Nick è un solitario, che confonde perfino le sue fantasie, con quelle che lui sesso crea sotto forma di videogiochi. C’è sicuramente un discorso filosofico di fondo, o quanto meno didascalico. E’ un romanzo in qualche modo complesso. In verità sarei più contento se mi dicessero: questo libro è bello, l’ho letto in una notte.

La realtà virtuale è una trappola o un mezzo complementare di percezione della realtà?
La realtà virtuale è la nostra vita, che lo si voglia o no. Oggi più di prima. Prima la realtà virtuale erano le nostre fantasie, poi l’arte, poi, il teatro, poi il cinema. La creatività è per se stessa virtuale, è una delle ricchezze umane più spendenti e quella dell’informatica, oggi, in tempi di Coronavirus, è una salvezza. Questa virtualità va vista anche in positivo. Accorcia i tempi e semplifica. Ma anche qui bisogna distinguere quali tempi accorci e che cosa semplifichi. E’ un discorso ontologico.

Un vero e proprio mondo alternativo creato dalla tecnologia che accentua l’emarginazione dell’uomo contemporaneo talmente preso da se stesso, dai ritmi insostenibili della modernità, dai tristi riti del consumismo, da non riuscire più a comunicare con gli altri, restando da solo con il proprio io, vittima di una personale superbia morale e intellettuale. Per Milan Kundera “la conoscenza è l’unica moralità del romanzo” e la narrazione di Pezzella scopre un segmento di esistenza. Trapelano la sua vocazione di formatore e soprattutto l’intima ambizione di uno scrittore: ”Dar senso alla immensità delle cose che sono accadute e accadono e accadranno nel mondo reale”.