Napoli, si inaugura il ponte sul Vallone S. Rocco. Parla l’architetto: Un modello per i luoghi-Porta

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in foto gli architetti Antonio Farina e Lilia Pagano

Antonio Farina con sua moglie Lilia Pagano hanno messo a terra l’idea del luminare della neurologia Vincenzo Bonavita, presidente dell’Hermitage Capodimonte, di realizzare a Napoli un ponte sul Vallone San Rocco in grado di congiungere il Parco di Capodimonte con quello delle Colline. Entrambi architetti, entrambi visionari come Bonavita, non hanno ceduto alla tentazione di arrestare la loro corsa dinanzi agli impedimenti (tecnici e burocratici) trasformando oggi in realtà il sogno dell’Emerito dell’Università Federico II di Napoli.

Architetto Farina, dopo anni di lavoro vede finalmente la luce il ponte ciclopedonale e a carrabilità limitata sul Vallone San Rocco che diverrà luogo di connessione tra il Parco monumentale di Capodimonte e il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli…
In particolare l’intervento prevede la riqualificazione della fascia di suolo, adiacente via Miano, che fronteggia l’ingresso del Parco di Capodimonte e che fino all’Ottocento era connotato come il luogo della porta della città da nord (posta doganale di Bellaria ancora testimoniata dal manufatto della garitta). L’intervento di riqualificazione riscopre e argomenta l’essenza storica di questo luogo di limite e di soglia in un contesto nuovo  di rilevante interesse ambientale e paesaggistico in quanto Porta rappresentativa del Parco delle Colline di Napoli e luogo fisico di  interscambio e connessione del patrimonio naturale storico del Parco di Capodimonte con la zolla altimetricamente emergente connotata da rilevanti valori testimoniali e naturali che è attualmente accessibile solo da sud attraverso l’angusta,  antica e pittoresca via Cupa delle Tozzole che sono separate dal Vallone San Rocco.

In che contesto ci troviamo?
Il diverso duplice carattere  dei versanti  della zolla è espresso e sintetizzato storicamente dalle due presenze architettoniche di rilievo, Villa Faggella (ex villa Paternò) e l’ex Sanatorio Caputi, che fino all’inizio degli anni ’30 si suddividevano la zolla in due porzioni. Tutte e due  nascono relazionandosi direttamente con le profonde incisioni dei valloni e consacrandone il valore di affascinati monumenti geografici. A tutt’oggi in questa piccola, autonoma e significativa realtà  del Parco delle Colline di Napoli convive questa duplice condizione di nobile contiguità  con il parco di Capodimonte e al tempo stesso di appartenenza al territorio d’entroterra.  La settecentesca Villa Faggella (ex Villa Paternò) raro esempio di villa-fortezza di impostazione palladiana, fu costruita poco prima della Reggia sul poggio che domina il vallone S. Rocco, occupando con la sua ampia area agricola di pertinenza (abbandonata) tutto il versante  sud-est  di particolare  pregio per la sua diretta contiguità visiva con il sito reale borbonico. Sul versante nord-ovest, l’altra altura  meno pronunciata in prossimità del vallone secondario era nota in passato come la “Contrada Madonna delle Tozzole” depositaria della più antica memoria insediativa della  zolla paesistica.  Nel corso del tempo prima la Cappella delle Tozze e successivamente il Sanatorio Caputi  ne sottolineano il carattere  intimo di estraneità dal contesto urbano e l’appartenenza ad un territorio d’entroterra altro dalla città.  A differenza di Villa Faggella che assurge a riferimento visivo, il vecchio Sanatorio costituisce una piccola realtà autonoma visivamente nascosta dalla fitta vegetazione di pini e da scoprire per le sue suggestive qualità sceniche che rimandano alla sua origine conventuale.

Di recente l’area ha consolidato e rinnovato la sua ormai storica funzione sanitaria riproponendola  secondo una moderna accezione di parco terapeutico…
Sì, che si avvale del  rilevante patrimonio di “verde ornamentale” in cui è immersa la clinica Hermitage. La rilevanza in termini paesistici, oltre che la futura ricaduta  turistica, della piccola piazza belvedere antistante la porta Bellaria  che, concepita come un minimale contrafforte sul vallone,  dialoga visualmente con il poggio di Villa Faggella  e il nuovo punto belvedere sommitale creato sul versante opposto. La sua architettura configura una semplice fascia basamentale in tufo che si carica figurativamente dell’edificio ottocentesco al centro dello slargo di  porta Bellaria  e del fronte disegnato dalle mura borboniche del parco di Capodimonte. Insieme allo slargo di porta Bellaria al di là di via Miano questo nuovo luogo di affaccio configura fisicamente e  simbolicamente la piazza di “interscambio” tra  un parco storico di notorietà internazionale e un “parco metropolitano” di istituzione recente, acquistando una rilevante accezione urbana, paesaggistica e ambientale che sintetizza la svolta e la scommessa  della recente politica urbanistica per Napoli.
I vari livelli in cui si articola l’intervento concorrono in una composizione unitaria che se orizzontalmente traguarda l’incisione del vallone,  verticalmente chiarisce le relazioni tra  i due versanti:
•        La quota  a cui  si imposta il ponte corrisponde a quella del versante occidentale di circa sei metri inferiore alla quota di via Miano e della porta Bellaria che coincide con la quota della clinica e quindi con il punto di arrivo del percorso che disegna lungo il tragitto intervallato da aree di sosta e punti belvedere  il versante del vallone. Ne risulta che il ponte ha un  bassissimo impatto ambientale essendo completamente immerso nella vegetazione e diviene peraltro un luogo privilegiato di osservazione sul vallone S. Rocco in un tratto  difficilmente esplorabile. La sua inclinazione planimetrica è determinata dalla angolazione visuale dettata dalla villa Faggella che ne costituisce il fondale scenico così come per il sovrastante affaccio belvedere. Sotto il profilo paesaggistico il manufatto ponte richiama direttamente la memoria del muro finanziere che fino agli anni ’30 attraversava trasversalmente il vallone pochi metri più a sud.
•       Il sistema di spazi pubblici che riqualifica il fronte sul parco delle Colline via Miano per una lunghezza di circa 120 m include, oltre l’affaccio belvedere la cui ampiezza è pari allo slargo di porta Bellaria, un giardino terrazzato che ha come terminale il piccolo manufatto della garitta borbonica oggi in uno stato di abbandono e degrado. La piazza belvedere inquadra in primo piano visuale Villa Faggella; nel controcampo, proietta sul vallone lo slargo di Porta Bellaria che, come si è già detto, acquista così un nuovo significato di piazza “di interscambio” tra i due parchi.
•       Il percorso sulla sponda  opposta è fiancheggiato da aree di sosta e punti belvedere che si fondono con il declivio naturale. La strada nel tempo sarà dunque mascherata dalla stessa configurazione del declivio esistente dove alcuni punti sono già conformati per essere emergenti e predisposti all’affaccio, quale quello posizionato nella parte  sommitale  volto verso il Parco di Capodimonte che dialoga, replicandolo, con l’affaccio su via Miano. Si recupera così  il dislivello tra la quota di smonto del ponte e la quota a cui è situato sia l’inizio dell’antico percorso (che viene ripristinato) che conduce a Villa Faggella che il parcheggio per il pubblico (già esistente) della Clinica collegato a sua volte con  via cupa delle Tozzole.
•       Il ponte ,  impostato ad una quota di circa sei  metri  rispetto alla quota dell’affaccio  belvedere di  porta Bellaria,   pur configurandosi  come una presenza i cui effetti  ambientali risultano poco impattanti  diviene un efficace strumento per traguardare e determinare corrispondenze tra le architetture  localizzate sui versanti opposti del vallone;   in particolare  l’inquadramento visuale e percettivo di Villa Faggella che viene amplificato dalla sua disposizione  zenitale che privilegia proprio la direzione  frontale  della villa.  Tale disposizione consente inoltre di avere nella sua parte mediana una vista della situazione  fisico-geografica e naturalistica  dei versanti del vallone in asse con l’alveo. E’ proprio questa percezione visuale, particolarmente gradevole e inaspettata, che il  progetto del ponte ha assunto come tema architettonico di riferimento principale. Il ponte ha una forma  lenticolare definita dalle curvature delle due travi longitudinali esterne che nel loro sviluppo  strutturano una figura spaziale reticolare la cui altezza nella parte mediana raggiunge la dimensione di circa quatto metri. La precisazione dimensionale e architettonico-funzionale  della sua configurazione spaziale risulta proprio dalla declinazione del tema  architettonico assunto. Così come la sua articolazione che delinea una superficie utilizzabile del ponte suddivisa in tre parti principali. Una prima parte centrale che corre alla quota della curva lenticolare superiore che trasversalmente ha una dimensione di circa sette  metri e che viene utilizzata anche come passo carraio di servizio per  i residenti e le due parti restanti che disponendosi lateralmente e seguendo la curva della trave longitudinale inferiore delineano un camminamento in aggetto di circa 1,5 mt per tutta la lunghezza del ponte  e che nella parte  mediana  trasversalmente si collegano in un luogo che consente la vista assiale dell’alveo San Rocco.

Qual è stato l’elemento tecnico più complesso che si è trovato davanti in questa sfida?
Tanti ma tutti risolvibili.

Il ponte è anche un chiaro esempio di open innovation, con le istituzioni che vi sono state accanto pur senza finanziare direttamente l’opera…
Certamente. I costi sono stati sostenuti dalla Hermitage, come ha recentemente dichiarato al quotidiano “Il Mattino” il professor Vincenzo Bonavita, Emerito di Neurologia dell’Università Federico II di Napoli e presidente dell’Hermitage Capodimonte, centro di eccellenza della sanità italiana ed europea. Ma la parte pubblica ha affiancato il progetto in un schema coerente con il conetto dell’open innovation.

Di cosa va più fiero?
Vado fiero di aver colto l’opportunità professionale come stimolo di conoscenza e approfondimento dei luoghi della città e soprattutto come occasione di verifica che quanto appreso e insegnato all’università risponda coerentemente non solo alle richieste di vivibilità del territorio ma anche e soprattutto al disvelamento dei suoi caratteri identitari.
In questo caso insieme alla collega nonché moglie professoressa Lilia Pagano abbiamo evidenziato, io come incaricato e lei come consulente scientifica, l’essenza storica di questo luogo di limite e di soglia in un contesto nuovo  di rilevante interesse ambientale e paesaggistico attraverso la declinazione di un rilevante tema urbano come la Porta di città pieno di significati e allusioni. In particolare di Porta rappresentativa del Parco delle Colline di Napoli e luogo fisico di  interscambio e connessione del patrimonio naturale storico del Parco di Capodimonte con la zolla altimetricamente emergente connotata da rilevanti valori testimoniali e naturali che è attualmente accessibile solo da sud attraverso l’angusta,  antica e pittoresca via Cupa delle Tozzole che sono separate dal Vallone San Rocco.

Pensa che l’esperienza di questo ponte sia un modello replicabile anche altrove ?
Certo. Insieme a Lilia Pagano abbiamo, infatti, pubblicato  di recente una ricerca sui Quaderni del Parco che evidenzia altri possibili inediti luoghi-Porte che potrebbero strutturare relazioni e connessioni tra aree e zone verdi oggi del tutto inaccessibili.
In collaborazione con il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli abbiamo messo a punto, infatti,  una nuova possibile sentieristica che in alcuni punti sia di aree centrali che periferiche declina il tema della Porta come luogo di accesso al polmone verde del Parco.
Di seguito ne elenco alcuni:

a)      PORTA “CENTRO STORICO” dall’Orto Botanico a Capodimonte
Sulla salita del Moiariello, alle spalle dell’Orto Botanico e del convento di S.Maria degli Angeli (attuale Facoltà di Veterinaria), si scopre che già esiste, allo stato di rudere, la suggestiva e maestosa ‘porta’ della città storica al Parco delle Colline di Napoli. Cioè si scopre che più di 50 anni prima della loro consacrazione istituzionale come ‘parco’, le pendici verdi della collina che delimita il centro antico di Napoli e che in successione accolgono l’Orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico, la Reggia e il Parco di Capodimonte, erano state monumentalizzate da un’architettura moderna dimenticata, che non a caso sembra esplicitamente evocare la mitica immagine dei propilei dell’acropoli di Atene. Iniziata nel ’35 dallo IACP di Napoli e interrotta dagli eventi bellici, la costruzione fu completata tra il 1947 e il 1951 da Giulio De Luca e Michele Pagano.
Trasformare l’intuizione poetica dei propilei, nella realtà viva e funzionale di un abitare collettivo e dinamico a stretto contatto con la città e con la natura è la finalità del progetto redatto da Pasquale d’Agosto come tesi di laurea, oggetto di accordo di collaborazione scientifica con lo IACP. La casa per studenti, concepita come simbolo figurato dell’accesso al mondo collinare, diviene la vera e propria porta rappresentativa e funzionale del Parco delle Colline di Napoli. Due innesti infrastrutturali, una torre elevatore a valle e un ponte pedonale a monte consentono la creazione di due nuovi percorsi di uso pubblico, l’uno esterno lungo le coperture gradonate, l’altro interno e completamente assistito nel braccio ovest contiguo alla palestra, che collegano direttamente la città storica all’antica rampa del Moiariello. L’attraversamento esalta il significato paesaggistico e contemporaneo di questo luogo collettivo di soglia dedicato ai giovani e alla cultura.
Svela, al tempo stesso, la necessità di un’architettura che riscopra e riparta dalle utopie interrotte del moderno per la costruzione di una cultura dell’abitare contemporanea fondata su rinnovate dinamiche relazioni tra mondo urbano e mondo naturale.(L.P)

b)      PORTE E ACCESSIBILITA’ MECCANIZZATA al Polo Ospedaliero
L’accessibilità al Parco nella zona nord è maturata da due occasioni di studio incentrate sulla condizione morfologica e di mobilità dell’intera area urbana caratterizzata dal polo ospedaliero.
La prima è un concorso di progettazione vinto insieme all’arch. Francesco Spinelli per la risistemazione dello slargo antistante l’ospedale Monaldi.
La seconda, una collaborazione svolta con l’università al “piano delle cento stazioni” della metropolitana. In quest’area il tema delle nuove accessibilità al Parco rappresentano anche l’occasione per attivare un più ampio processo di valorizzazione ambientale e urbana, migliorandone la mobilità, a partire da quei luoghi storicizzati come via Boscariello, via Orsolona, Via Leonardo Bianchi, ecc, che oggi risultano frammisti a brandelli di aree verdi marginali del Parco. Un sistema di marciapiedi mobili collega, a partire dalla ‘stazione ospedali’, i diversi nosocomi presenti.
E’ questa la spina di una serie di micro interventi di valorizzazione di luoghi variegati ai lati del percorso.
Sono così messi in forma alcuni obiettivi, che nella pro¬grammazione della Variante e del Piano dei trasporti redatti dal Comune di Napoli, sono ritenuti fondamentali per il miglioramento dell’accessibilità. In particolare il percorso meccanizzato fornisce un’enorme valore aggiunto al polo ospedaliero che come noto, è composto da aziende sanitarie di rilievo nazionale con elevata tecnologia e particolari competenze specialistiche, quali il II Policlinico, l’Ospedale Cardarelli, l’Ospedale Pascale e gli Ospedali Monaldi e Cotugno riuniti, oggi, insieme al CTO sotto il nome Azienda Ospedaliera dei Colli. (A.F.)

c)      PORTA “CONCA DI SOCCAVO” Nuove centralità del Polo Universitario
La proposta studia la valorizzazione di un’ampia area di proprietà CDP situata a ridosso del polo universitario di Monte S. Angelo. Più precisamente, la suddetta area, corrisponde all’intero versante sud del promontorio che si sviluppa a nord del polo universitario. In continuità con la collina dei Camaldoli, introduce al sistema geomorfologico definito dalla conformazione degli anfiteatri craterici della conca di Agnano e degli Astroni. Ai fini della programmazione territoriale risulta essere parte integrante del Parco metropolitano delle Colline di Napoli lambendo, nella sua estremità meridionale, l’area destinata ad ospitare la stazione della linea metropolitana 7. Ha una estensione di circa 130.000 mq e risulta servita lungo tutto il suo perimetro non solo da sentieri e strade vicinali di campagna ma anche da strade urbane di primaria importanza, quale ad esempio risulta il confine sull’intero lato orientale di 220 mt che prospetta su via Cinzia. Costituisce pertanto un’area di grande interesse paesaggistico e al contempo strategica ai fini di una valorizzazione territoriale di questo lembo di periferia urbana. La sua riconfigurazione in relazione al polo universitario e alla nuova stazione metropolitana può realizzare quanto auspicato dalla Variante al PRG che prevede la realizzazione di un nuovo luogo di centralità urbana, formato dalla nuova stazione, da una piazza e da un insediamento edilizio destinato a residenze universitarie. All’interno della più ampia proposta di valorizzazione dell’area tra la collina dei Camaldoli e il polo universitario di Monte Sant’Angelo, una nuova piazza-masseria sottolinea paesaggisticamente il basamento della piccola collina-promontorio e accoglie residenze per studenti, impianti sportivi e un intervento agronomico a servizio del complesso universitario. Uno spazio urbano e agricolo di soglia che riscopre una sua centralità: qui convergono e da qui si dipartono gli antichi sentieri che consentono la fruizione dei crinali del sistema collinare, dai Camaldoli alle prime propaggini del Parco Campi Flegrei. (A.F., L.P.)