Napoli mangia giapponese, ma attenzione: c’è sushi e sushi

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A cura di Alfonso Vitiello La cultura giapponese a Napoli sta crescendo sempre di più. Il fenomeno del Giapponesismo partenopeo sta vivendo il suo periodo migliore ed è in particolar modo la A cura di Alfonso Vitiello La cultura giapponese a Napoli sta crescendo sempre di più. Il fenomeno del Giapponesismo partenopeo sta vivendo il suo periodo migliore ed è in particolar modo la cucina nipponica a base di pesce a spopolare nel golfo di Napoli. A tal proposito precisiamo che il sushi si sposa bene con il mare di Napoli. Nigirizushi, chirashizushi e mushizushi sono alcuni sushi composti da sumeshi e altri ingredienti. Tra questi, quello che generalmente viene riconosciuto anche all’estero come sushi è il nigirizushi. Si tende a credere, sbagliando, che il suo ingrediente principale sia solo un semplice filetto di pesce crudo, ma in realtà ci sono diverse preparazioni: pesci come il kohada o lo sgombro sono marinati in sale e acero; lo hamaguri e il grongo ad esempio, sono cotti in un brodo a base di salsa di soia; la parte magra del tonno è invece marinata nella salsa di soia. Nel nigirizushi non può mancare come condimento il wasabi, un altro prodotto tipico giapponese. Si tratta di una pianta che cresce in terreni sabbiosi vicino ai torrenti di montagna e, grattugiandola, ne risulta un sapore piccante ed un odore pungente caratteristici, che arrivano al naso come la famosa mostarda tedesca. Nel nigirizushi il wasabi si spalma tra l’ingrediente principale ed il riso. Quando si mangia questo tipo di sushi si può mettere della salsa di soia in un piattino ed intingervi l’ingrediente principale. Se si intinge dalla parte del riso, questo assorbe la salsa di soia e diventa troppo salato. Bisogna inoltre stare attenti perchè il sushi si disfa facilmente. Per i Vegetariani di casa nostra c’è il tofu, simile alla mozzarella. Tofu significa morbido ed elastico, in italiano formaggio di soia, anche se nell’ideogramma è kusaru (marcire) non vuol dire che è un alimento fatto marcire. Si può mangiare cosi com’è: non cotto, ma anche fritto e saltato in padella. Ebbe origine nella cucina vegetariana dei monaci buddisti e passò alla tavola dei samurai ma le sue origini non si conoscono con esattezza. Probabilmente è stato tramandato dalla tradizione cinese.