di Fiorella Franchini
S’ispira al velo e alla malia dei misteri della città il nuovo reportage di Napoli fashion on the road, il progetto creato e lanciato da Curtis & Moore nel febbraio del 2016, in cui la moda si mescola alla cultura, all’enograstromia, alla religione, alle tradizioni e alle infinite altre sfumature che solo la città di Napoli sa regalare. Indumento prevalentemente femminile, usato tuttora, come ornamento e arma di seduzione, oppure come accessorio per nascondersi dallo sguardo altrui, ammanta con la sua impalpabile fascinazione la storia e il mito Partenope che si copre e si nasconde, lasciando ora intravedere ciò che c’è sotto, ora, celando sensi antichi. I collegamenti sensoriali e razionali sono quasi immediati e rimandano al Cristo Velato e alla Pudicizia della Cappella Sansevero, al velo di Iside, il cui tempio occupava un’ampia area del centro storico, a quello della Madonna, le cui edicole sono disseminate in tutti i quartieri, o a quello degli ordini religiosi femminili, scrigno di devozione e di delizie gastronomiche come la famosa sfogliatella. La giovane modella di questa diciannovesima tappa, indossando un outfit quasi biblico, composto da un lungo drappeggio blu cobalto ed un drappo bianco, la bellezza austera, lo sguardo fascinoso, a volte, accompagnato dall’enigmatica maschera di Pulcinella, s’innesta nel magico scenario di Via Tribunali. La fotomodella ha accolto sotto il suo velo gente comune, turisti e passanti che si sono prestati con curiosa attenzione alle particolarissime pose fotografiche del maestro della fashion street photography napoletana, iPhotox., tra la seicentesca Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, e il Palazzo dell’Imperatore di Costantinopoli appartenuto dal 1295 a Filippo d’Angiò, fratello di Roberto. E’ uno degli più antichi di Napoli, in cui abitò Boccaccio, caratterizzato da portici in piperno e un portale ad ogiva in stile gotico nel quale si affacciano botteghe e negozi di un colorato mercato rionale. Durante il regno di Alfonso d’Aragona ospitarono la nascente Accademia Pontaniana, chiamata Porticus Antonianus, in quanto le riunioni erano presiedute da Antonio Beccadelli detto il Panormita. Intorno a questa istituzione si riunirono intellettuali di spicco come Pietro Aretino, Antonio Casarino, Tristano Caracciolo e Giovanni Pontano, che la diresse a lungo e le fece cambiare il nome da Porticus Antonianus in Accademia Pontaniana. Dopo di lui, l’Accademia fu diretta da Jacopo Sannazaro e si trasformò nel 1808 in Società Pontaniana sotto la direzione di Vincenzo Cuoco, ottenendo nel 1817 un riconoscimento da parte del re. Ispirandosi alla vivacità del decumano maggiore che poco più in là si apriva nell’antico Macellum, e ai misteriosi studi degli accademici, il pizzaiolo Mario Azzurro della Pizzeria del Portico ha inventato e offerto una pizza multicolore e simbolica, composta da gustosi ingredienti della tradizione, tra i quali la mozzarella di bufala, prosciutto crudo e rucola, oltre a scaglie di parmigiano, crema di funghi porcini e simbolicamente decorata con i pomodorini gialli che hanno composto il numero 11. Come non pensare alla Napoli velata di Ferzan Ozpetek: lo sguardo e il sentimento che cercano di scoprire altro nella realtà circostante, le sequenze numeriche, quelli della smorfia napoletana nella quale a ogni numero corrisponde un contenuto e gli studi scientifici ed occulti delle scuole esoteriche. Significati reconditi: nessuno può svelarli completamente: “questa città i suoi segreti se li tiene per sé”. Resta una stratificazione di concetti molteplici che portano il piano emotivo a invadere quello razionale. “Il simbolico “svelarsi”, è elemento distintivo dell’iniziativa odierna e della Napoli che amiamo. – spiega il direttore artistico Cristiano Lucchini – Una città liquida, in continuo mutamento e che proprio per questo sfugge continuamente ad una considerazione lineare. Ecco spiegato anche l’utilizzo della maschera sulla modella in alcune pose. Simbolo che chiude questa tappa ma che apre nuovi scenari per l’immediato futuro…” “Una contaminatio concentrica che caratterizza tutti i contest di Napoli fashion on the road, e ci spinge a comprendere la delicatezza e la precarietà degli esseri umani, “questo perenne gioco di vita e morte che lascia in bilico le esistenze e su cui a Napoli si scherza per sdrammatizzare un po’”.