Napoli, che cosa ci insegna la Nutella

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C’è una notizia che ne contiene un’altra ed entrambe sono degne di nota e rappresentative di una realtà in bilico tra passato e futuro come quella del Meridione d’Italia: 1. la Ferrero decide di lanciare sul mercato la Nutella vegana, in particolare per chi non riesce a digerire il lattosio, e per farlo sceglie lo stabilimento di Sant’Angelo dei Lombardi in Irpinia, 2. i Carabinieri sequestrano a Napoli una partita di vasetti risultata rubata con destrezza da chissà quale deposito dal momento che la crema non è ancora in commercio.
Dunque, da una parte un gruppo industriale di primo livello si affida a un impianto del Mezzogiorno – ai suoi dirigenti e lavoratori – per il successo di una iniziativa che va incontro alle esigenze nutrizionali di una parte crescente della popolazione (le allergie e gli stili alimentari sono in aumento un po’ dovunque), dall’altra l’ordine pubblico deve intervenire per fermare un reato connesso con quella scelta. Il barattolo con il tappo verde, per distinguerlo da quello ordinario, va a ruba prim’ancora di essere distribuito.
C’è del genio in entrambe le attività. Solo che l’una nega l’altra in termini di buona reputazione. Non si fa in tempo a dimostrare il proprio valore imprenditoriale che un atto criminale s’incarica di riportare a galla un’altra specialità del territorio annacquando la buona novella in quella cattiva. Per carità, il malaffare non è certo un’esclusiva del Sud e della sua controversa capitale ma è qui che occorre scardinare un luogo comune duro a morire proprio per le continue prove che si danno e si ricevono a dispetto del tanto impegno di altri.
È un po’ come vivere nel Purgatorio, usciti dall’Inferno ma non ancora pronti ad andare in Paradiso. E così per tanti altri esempi che si possono ricavare dalla vita di tutti giorni: nelle università nascono poli di ricerca di eccellenza internazionale, nelle industrie si lavora per conquistare i mercati internazionali e nelle strade imperversano tassisti di rapina che fanno un danno alla città e alla propria categoria e resistono i parcheggiatori abusivi che si dedicano a pratiche di estorsione alla luce del sole.
Per fortuna qualcosa sta cambiando. Rispetto a qualche anno fa quando la parte malata della società era considerata parte integrante del sistema, un male tollerato o addirittura giudicato necessario – una specie di ammortizzatore fatto in casa -, oggi i contorni tra bene e male cominciano a intravedersi. Non è più scontato farsi taglieggiare per quieto vivere. E comincia a scardinarsi la certezza dell’immunità per chi occupa abusivamente il suolo pubblico, chi vende senza licenza, chi offre ospitalità al di fuori della legge.
Non si tratta come si diceva una volta di microcriminalità, per diminuirne la portata, ma di veri e propri atti di ostilità verso le autorità e i cittadini che pagano le tasse e rispettano le regole e che in un ambiente inquinato si sentono fuori posto e dileggiati mentre chi devia dalla retta via, chi si fa furbo, diventa il modello da imitare. Non si deve aspettare di arrivare alle vette di Gomorra per agire. La catena va spezzata prima, quando è possibile agire perché non si è ancora formata la crosta che rende impermeabile quel mondo.
Tutto questo soprattutto se si vuole conferire a Napoli e alla sua dimensione metropolitana quel ruolo di guida dell’intero Mezzogiorno inteso come macroregione in grado di bilanciare in termini di interessi e capacità imprenditoriali le pretese autonomistiche del Nord. Invece che dividere occorre unire e solo un grande polo di attrazione, economico e morale con testa politica, può ambire a farlo in una dimensione mediterranea e proiettata verso l’Africa. Lo scriveva, già dieci anni fa, un grande visionario come Massimo Lo Cicero.