Napoli amata nel mondo ma poco curata dal Comune

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Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 26 aprile, all’interno della rubrica “Spigolature”

di Ermanno Corsi

Lunghe file (a rischio assembramenti) sul lungomare specie nel tratto più “antropizzato” di via Partenope; “fiumi umani” in tutto il centro antico con “pienone” nei 3 decumani; folte schiere da Posillipo a San Martino, da piazza Vanvitelli alla Stazione Centrale. I turisti sono tornati dopo la quasi totale scomparsa riconducibile (ma non solo) alla fase pandemica più acuta. Napoli respira e riprende fiducia. Se ne compiace il sindaco Manfredi che non esita a dire: ”Siamo la città più amata nel mondo, c’è tanto desiderio di noi”. Se “noi” si riferisce all’ambiente cui la natura ha dato il massimo che poteva, compiacimento più che legittimo, visto che si viene a Napoli dalle parti più sperdute del pianeta anche solo per vedere come è fatto un pezzo di paradiso in terra.

ATTENZIONE ALLE PAROLE. In certi momenti sono pietre, ricorderebbe Carlo Levi. Parli come badi sà, ammoniva Totò. Ancora il flusso turistico e il Manfredi pensiero: ”Napoli è un grande brand” (che significa marchio).”Sul patrimonio di Arte, Cultura e Storia costruiamo il nostro futuro”. Tutto bene, ma occorre distinguere. Se Storia è il passato che ha visto produrre genialità nei campi in cui hanno agito originale ispirazione e intelligenza creativa, Napoli è certamente ai primi posti tra le città e le nazioni. Se invece per “storia” si intendono “attualità e contemporaneità”, allora qualche dubbio è obbligatorio. Resta sempre da vedere, per questo, come oggi viene trattata la Storia attraverso i monumenti che più la rappresentano.

CASTEL DELL’OVO MALATO. Lo si raggiunge, da via Partenope, percorrendo il sempre affollatissimo istmo chiamato viale dell’Eldorado. Si superano le 2 torrette di avvistamento (solo una ben restaurata) e ci si ferma davanti all’ingresso. Portone sbarrato non perché si è fuori orario, ma per caduta di calcinacci e pietre dalla sovrastante parete. Per restauro e riapertura servono 8 milioni di euro, dicono i tecnici, mentre Palazzo san Giacomo non ne ha più di 83 mila (ma il “patto” con Draghi non prevede che si cambierà registro con Riscossioni, Patrimonio e Partecipate?). Onesto il richiamo al realismo quando Manfredi afferma: ”Non siamo all’altezza di una città turistica. Dobbiamo fare di più con virtuose collaborazioni pubblico-privato”.

CASTELLO FRA STORIA E LEGGENDA
. Entrambe sono legate da un “filo” che si chiama “Uovo”: quello che è stato nascosto in un angolo sotterraneo e la cui perdurante integrità avrebbe scongiurato qualsiasi calamità a Napoli e al suo territorio. Chi abbia nascosto questo “magico Uovo protettore”, non si sa: chi dice la ninfa Partenope e chi Virgilio (nel medioevo ritenuto mago e taumaturgo). Sta di fatto che nel 1370 l’angioina regina Giovanna (la prima, un po’ più saggia della seconda detta “la pazza”), quando una terrificante “malacqua” flagellò l’isola di Megaride, per proteggere il Castello depose un suo scaramantico Uovo tutto d’oro, quindi indistruttibile. Volle così tranquillizzare il popolo e “sfatare l’idea che Napoli potesse mai diventare preda della sventura”. Messaggio per il sindaco Manfredi: tocca ora a lui non deporre simbolicamente un “terzo Uovo”, ma fare in modo che il Castello più antico di Napoli (prese forma a partire dal primo secolo avanti Cristo), venga riparato rapidamente e restituito alla fruizione ammirata di turisti e appassionati di napoletanità.

IL MASCHIO TRA I RIFIUTI. Chi cammina per le strade di Napoli -dice il soprintendente Luigi La Rocca (Archeologia, Belle Arti, Paesaggio)- è “impressionato più dal degrado che dalla bellezza”. Quella bellezza che sta negli occhi di chi guarda. Ora chi s’avvia verso il cortile del Maschio Angioino, mentre passa sul ponte levatoio è bene non guardi giù nel fossato stracolmo di rifiuti: una discarica a cielo aperto intorno al monumento che dal 1266 (voluto da Carlo I d’Angiò) è emblema della città. Anche qui c’è una leggenda: nei medievali tempi bui attraverso una fossa collegata col mare, nelle prigioni sotterranee si infilava un coccodrillo che si trascinava via i condannati lungo degenti. Cattivo pensiero dei giorni nostri: il Comune aspetta forse che qualche coccodrillo venga a prendersi un po’ della maleodorante immondizia ammassata ai piedi dello storico Maschio?