Nanoparticelle di metallo negli alimenti: allo studio i cibi “braccio di ferro” anti-anemia

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Alimenti “Braccio di ferro”, fortificati grazie all’aggiunta di nanoparticelle del metallo, per combattere l’anemia attraverso un super-cibo. Ci stanno lavorando gli scienziati dell’università degli Studi dell’Insubria di Varese, che insieme a colleghi dell’università britannica di Cambridge hanno descritto la loro ricerca sulla rivista ‘Scientific Reports’ del gruppo Nature. L’articolo indica una possibile via di accesso delle nanoparticelle di ferro nell’ambiente cellulare, aprendo allo sviluppo di alimenti, integratori e farmaci mirati a correggere diverse forma di anemia. La ricerca – condotta presso il Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della vita dell’Insubria – ha coinvolto Elena Bossi e Rosalba Gornati, responsabili dei laboratori di Fisiologia cellulare e molecolare e di Biologia cellulare; il direttore del Dipartimento, Giovanni Bernardini, e Daniele Zanella, dottorando in Medicina sperimentale e transazionale. Accanto a loro un team di chimici dell’ateneo di Cambridge. Gli studi sono stati finanziati dal Fondo di ateneo per la ricerca dell’università dell’Insubria e dalla Fondazione Cariplo, nell’ambito del bando ‘Nanoparticles, nanotechnologies and ultrafine particles’.
“Ancora oggi le forme di anemia da mancanza di ferro sono ampiamente diffuse sia per cause nutrizionali che patologiche – sottolinea Bossi – La cura prevede nella maggior parte dei casi la somministrazione di ferro in forma ionica, accompagnato da acido ascorbico per evitarne l’ossidazione e migliorarne l’assorbimento. Purtroppo spesso questa formulazione non può essere utilizzata come additivo fortificante aggiunto agli alimenti, perché ne altera considerevolmente le proprietà organolettiche”. “Utilizzando nanoparticelle di ferro questa problematica può essere risolta”. E la scoperta che queste ‘navicelle’ “sono in grado di attraversare direttamente la membrana plasmatica, senza incorrere nel sequestro da parte del comparto lisosomiale che ne ridurrebbe la disponibilità”, offre “nuove prospettive nella fortificazione dei cibi. Lo studio – conclude Bossi – ha mostrato come questo nuovo approccio sia effettivamente percorribile e ne spiega la fattibilità grazie anche alla caratterizzazione chimico-fisica delle nanoparticelle fornita dai colleghi di Cambridge”.