“Mutui usurari”, ecco i dettami della Cassazione

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di Valentino Vecchi, dottore commercialista 

Con una recentissima ordinanza, la numero 23192 del 4 ottobre scorso, la sezione sesta della Corte di Cassazione si è espressa sul tema, oggi assai “caldo”, dei cosiddetti “mutui usurari”. Il provvedimento assume grande importanza sia perché concerne una questione assai dibattuta negli ultimi anni, sia perché i suoi effetti appaiono potenzialmente assai dirompenti.
Ma andiamo con ordine.

Il filone giudiziario dei cosiddetti “mutui usurari” ha origine all’indomani della pubblicazione della sentenza n.350 del 9 gennaio 2013, pronuncia mediante la quale la sezione prima della Corte di Cassazione statuiva – invero non per la prima volta – che anche gli interessi di mora eventualmente contemplati in un contratto di mutuo soggiacciono al vaglio di legittimità della legge n.108/1996.

Tale pronuncia, strumentalmente interpretata dagli avvocati dei mutuatari che vi lessero il principio – invero non affermato dalla Cassazione nella richiamata pronuncia – secondo cui ai fini della verifica della legittimità del TEG di un contratto di mutuo occorra sommare il tasso di interesse di natura corrispettiva al saggio di mora, ha dato la stura all’avvio di migliaia di azioni giudiziarie intraprese dai mutuatari convinti (e fattisi convincere) della possibilità di ottenere la restituzione – ex art.1815 c.c. – di tutti gli interessi corrisposti agli istituti di credito a fronte dei mutui dagli stessi ottenuti.

Di avviso diverso, però, è risultata essere la giurisprudenza di merito, che, seppur nelle differenti connotazioni di una casistica assai ampia ed eterogenia, ha prevalentemente ritenuto destituito di fondamento il principio – non rinvenibile nella sentenza n.350/2013 – secondo il quale al fine di verificare la conformità alla normativa antiusura di un contratto di finanziamento si dovesse sommare il tasso di natura corrispettiva a quello di mora. Peraltro, la giurisprudenza maggioritaria ha anche escluso, perlomeno sino ad oggi, che l’eventuale accertata usurarietà del tasso di mora comportasse il diritto alla ripetizione degli interessi di natura corrispettiva pagati all’istituto mutuante.

In sintesi, dunque, il filone dei “mutui usurari” ha, sino ad oggi, disatteso in gran parte le aspettative dei mutuatari (pur con talune eccezioni).
L’ordinanza dei giorni scorsi emessa dalla sesta sezione civile del Supremo Collegio impone, tuttavia, di limitarsi a raccontare ciò che è successo, in tema di “mutui usurari”, sino ad oggi. Il futuro, difatti, se venissero recepiti i principi rinvenibili nella prefata ordinanza, potrebbe essere assai differente.

Sebbene, difatti, il provvedimento in commento risulti (come purtroppo spesso accade) parco di argomentazioni, sembrerebbe che i giudici ermellini abbiano inteso statuire sia il principio secondo il quale l’usurarietà del tasso di mora determina, ex art.1815 c.c., la totale gratuità del mutuo, sia l’ulteriore principio della cumulabilità degli interessi di natura corrispettiva con quelli moratori ai fini della determinazione del TEG del rapporto.

La recente ordinanza della Cassazione, dunque, potrebbe assumere grandissima rilevanza sia per l’impatto che potrebbe avere sui giudizi in corso, sia perché potrebbe incoraggiare l’avvio di nuove azioni giudiziarie intraprese da mutuatari convinti di dover ottenere la restituzione degli interessi, anche di ammortamento, pagati agli istituti di credito nell’ambito dei rapporti di mutuo.
In attesa di verificare se il provvedimento della Cassazione comporterà o meno un mutamento dell’orientamento dei giudici di merito, non ci si può che limitare a due osservazioni.

La prima riguarda il concetto di “cumulo” tra interessi corrispettivi e moratori; concetto evocato dai giudici ermellini unicamente mediante il richiamo di un precedente provvedimento del Supremo Collegio (n.5598/2017). Sul punto da un lato occorre osservare che la Cassazione non ha fornito indicazioni tali da fugare i rilevanti dubbi emersi, in questi anni, sia in giurisprudenza che in dottrina; dall’altro, deve osservarsi che nell’ordinanza del 4 ottobre scorso mai si discorre di “cumulo” tra tasso di interesse di natura corrispettiva e saggio di mora.

La seconda, di carattere più generale, concerne la posizione spesso assunta su tali complessi temi dalla Corte di Cassazione. Sembra, difatti, che talvolta il Supremo Collegio volutamente eviti di emettere provvedimenti realmente idonei a fugare i rilevanti dubbi che caratterizzano un contenzioso così tanto sviluppato quale quello esistente tra istituti di credito e clienti bancari.