Siamo in guerra, ma ce ne ricordiamo solo ora, dopo l’ennesimo attentato di matrice islamista alle persone e, soprattutto, ai simboli del cristianesimo europeo. Che, poi, a pensarci bene, di religione proprio non è questa guerra dichiarata al mondo e alla cultura occidentale dal gruppo Stato islamico (Is). Anche se ci piace crederlo. Non fosse altro perché, nella strategia stragista, che ora impiega armi a dir poco “unconventional” (camion, ndr) per sfuggire al controllo delle forze di polizia, da ultimo c’è la strage al mercatino di Natale di Berlino e, prima ancora, il “martirio” del parroco di Saint-Etienne du Rouvray.
La Francia, invero, è il paese europeo che ha pagato il tributo di sangue più alto al terrorismo islamista (ricordate gli attentati di Parigi e Cannes). E però è anche il paese europeo – nell’indifferenza dell’Unione – che con la Gran Bretagna ha brigato più di ogni altro in Medio Oriente e sulle sponde nordafricane. Con risultati disastrosi, sottolineo. E questo a prescindere dall’opacità di obbiettivi politici che di “grandeur” nazionale hanno poco o nulla, ma che attengono più semplicemente alla logica del vile denaro e, dunque, interessi economici ben precisi, per nulla concordati o semplicemente condivisi con la comunità europea.
Resta il fatto che – semmai lo dovessimo velocemente ancora una volta dimenticare – l’Is è ormai l’organizzazione terroristica più letale al mondo. Dal 2014 ad oggi, infatti, secondo il censimento de “Le Monde”, l’Is ha posto la firma ad oltre ottanta attentati (con quello di Berlino dovrebbero essere 84, mi pare) ed esecuzioni di ostaggi per un totale di oltre 1.600 morti. Un triste bilancio di sangue che non tiene conto, ovviamente, degli attentati e le esecuzioni avvenute nel deserto tra Siria e Iraq.
Un’organizzazione terroristica che può essere, tuttavia – piaccia o non a Salvini&C – contrastata e sconfitta solo attraverso il rinnovato ruolo dell’Unione Europa. Ruolo che passa evidentemente attraverso l’armonizzazione delle politiche e delle norme statuali dei singoli Stati membri, come purtroppo insegnano le falle investigative (e non solo) emerse, prima con l’attentato di Bruxelles ed ora con l’uccisione a Milano del Killer di Berlino.
Ma non sarà un Natale triste per tutti. Non per i risparmiatori-investitori del Monte dei Paschi di Siena. Il governo, infatti, sulla scorta dell’autorizzazione del parlamento, ha infine approvato il decreto legge cosiddetto “salva-risparmio” finalizzato alla costituzione di un fondo di 20 miliardi per fronteggiare – appunto – non solo la crisi dell’istituto bancario più antico del mondo, ma – si spera – anche di numerose altre banche che navigano in cattive acque. Incrociamo le dita. Per Bloomberg, infatti, di miliardi ce ne vorrebbero almeno 50. Ma il presidente del consiglio Paolo Gentiloni è fiducioso: “Credo che questa rappresenti una giornata importante, di svolta” per Mps “di rassicurazione per i suoi risparmiatori e per il suo futuro”, ha commentato.
Certo, fa una certa impressione constatare che a salvare il Monte Paschi e le altre è la stessa dissennata classe politica che per quindici anni ha fatto il bello e il cattivo – anzi, soprattutto il cattivo – tempo di queste banche. E magari sarà stata una irrefrenabile resipiscenza che ha impedito – nell’aula sorda e grigia di Monte Citorio – a gran parte dei deputati di essere presenti al momento dell’autorizzazione. Meglio non fare cattivi pensieri.
E non sarà un cattivo Natale nemmeno per i figli degli ultimi ministri del lavoro o dell’economia, che hanno beneficiato – s’è scritto sui giornali – di adeguati finanziamenti pubblici per sostenere le proprie imprese, oppure hanno conquistato – udite, udite – un prestigioso impiego presso enti pubblici, che so, magari la Casa depositi e prestiti. Bamboccioni – direbbe l’ex ministro Elsa Fornero – assunti con contratto a tempo indeterminato, naturalmente, non certo a termine né attraverso l’utilizzo dei voucher. Giovani – fortunati loro – che non sono stati costretti ad emigrare, come i centomila in fuga dal Belpaese e che stanno sulle scatole – sembrerebbe – all’attuale ministro Giuliano Poletti, come egli stesso ha incautamente ammesso.
Ma non sarà proprio un Natale festosissimo, però, per gli stipendiati costretti a misurarsi come mai prima d’oggi con stipendi non certo pingui e per lo più sostenuti da periodici aumenti scandalosi. A novembre, certifica l’Istat, gli incrementi delle retribuzioni sono stati di appena lo 0,5%. Ma che pretendete? Stiamo in crisi. Noi.
Lor signori, invece, non si fanno mancare davvero niente. Chiedetelo per caso a Roberto Formigoni, l’ex governatore della Lombardia. Gli hanno sequestrato circa 7 miliardi di euro. Non male per uno che ha fatto il voto di castità, non certo di povertà. Ma c’è un giudice anche a Milano, oltre che a Berlino. Ma c’è sempre un giudice, non solo a Berlino, anche a Milano. Il senatore è stato condannato a sei anni di carcere. Per corruzione.