L’interpretazione dell’economia di questa crisi epocale a più gobbe, covid 19, lockdown e guerra, “misurata” dalle “cifre elementari” ha filtrato una riduzione degli aspetti eclatanti della stessa, essendo prevalsa l’evidenza di rapidi effetti ottimistici di una lettura keynesiana, così come sperimentata dopo la grande crisi del ’29, e dal dopoguerra con la ricostruzione, a partire dalla somministrazione delle prime dosi di investimenti generanti i conseguenti famosi effetti diretti ed indiretti. Numerose, però, sono le peculiarità di questa grande crisi sulle cui difficoltà si formerà una interessante letteratura tipica e connaturata alle molteplici sfaccettature. Tra queste quelle connesse anche “al rifiuto del lavoro” ed alla “Great Resignation” mentre alcune si collegano bene all’inveterata difficoltà di trovare lavoratori pronti da parte delle imprese, messa in luce in varie occasioni convegnistiche e della comunicazione, per un periodo più che ventennale dal cosiddetto Progetto Excelsior Unioncamere ed Anpal.
I molteplici connotati di una crisi epocale di tale portata, nella prima fase epidemica, Covid 19, e nella seconda fase di guerra locale-mondiale, peraltro in un’area molto pericolosa, dotata di centrali di energia atomica e di apparati bellici, situati al confine del sistema comunista ed occidentale dei blocchi politici ed economici storici, che furono teatro della caduta del muro di Berlino, il mercato del lavoro è stato un comparto particolarmente colpito, martirizzato, in questo caso, a dir poco eclatante, ma, allo stesso modo in maniera sui generis. Infatti, non solo in riferimento alla realtà italiana, non si è colto, come si poteva inizialmente pensare, che un “danno” eccessivo ed esteso, confinante, sarebbe potuto pur avvenire, con un querimonia o debacle totale della società e delle istituzioni. Infatti, nonostante i problemi sanitari e demografici del Covid 19 e dei conseguenti periodi alternati di lock-down ed al relativo ricorso agli ammortizzatori conseguenziali: lo Smart working, per assicurare, per quanto possibile, attività produttive da casa e la Dad concentratasi nell’ultimo paio di anni, per assicurare, per quanto possibile, la tenuta di attività di processi educativi, detto per inciso, compensando sia in riferimento alla Smart Working, che alla Dad con un vero e proprio “valore aggiunto” di apertura a nuove ere di una new didattica blended.
In questo contesto di nuove fenomeni che e di presentazioni variegate e talvolta contraddittorie “danze di nuove variabili comportamentali e di sentiment, percezioni” si segnalano qui di seguito due raccolte di cifre tradizionali, dell’ISTAT commiste al potenti riflettori di comunicazione che misurano i fenomeni, sul mercato del lavoro negli ultimi 12 mesi: Ia prima di queste raccolte vede circa un milione in più di occupati che sono di tutt’altro segnale di crisi. Le ore lavorate nel primo trimestre sono andate fortemente avanti così come la tendenza del 6,2% del PIL. Le variabili base, economiche e sociali, della situazione resa da queste “cifre” ed anche dalle elaborazioni di modelli semplici o con una prima dose di sofisticazione se non proprio stentano a presentarsi con gradazioni controverse legate alla crisi.
Le tradizionali “cifre elementari” sia della prima che della seconda raccolta potrebbero ridimensionare addirittura la crisi 2022. Gli uItimi dati Istat e riportati nei dispacci ANSA, e su altri link (per esempio, del 13 giugno 2022, ore 11.21) (qui)
Si osservano: un tasso di disoccupazione che scende all’8,6%, Vi sono meno disoccupati e meno inattivi, crescono ore lavorate e Pil, nelle imprese, crescono i dipendenti, Più ore lavorate, meno cassa integrazione, posti a chiamata: crescita boom, Ccosto del lavoro pressoché invariato.
Questo è il quadro nella prima decade di giugno 2022 riconducibile ad una efficacissima lettura (parziale) addirittura di segno positivo delle “cifre”. E’ palesemente l’effetto coerente del funzionamento del modello keynesiano già nell’ambito dei primi investimenti effettuati dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), notissimo quale pacchetto di investimenti e riforme articolato in sei missioni. Il Piano promuove un’ambiziosa agenda di riforme, e, in particolare, le quattro principali riguardano: la pubblica amministrazione, la giustizia, la semplificazione, la competitività e tutte altre attività entranti nella stessa Agenda temporale, che si affiancano a quelle di derivazione Draghiana.
Pochi giorni fa, il 30 giugno, dalle “cifre elementari” aggiornate, a maggio 2022, di una seconda raccolta nei commenti dell’articolo di Natale Forlani sul Sussidiario net – I NUMERI DEL LAVORO/La doppia crisi dell’occupazione italiana (qui) – vengono raccolti altri aspetti e sfumature.
D’altra parte, di questa seconda raccolta, proprio a maggio 2022 si interrompe il tasso di partecipazione della popolazione attiva nel mercato del lavoro con un aumento di circa 50.000 persone inattive, alimentato da una riduzione analoga delle persone che cercano lavoro, anche se in un contesto positivo di permanenza di occupazione nell’ultimo trimestre rispetto al precedente (+136 mila unità) ed al mese di maggio 2021 (+463 mila unità). Accanto a queste “cifre” di dati economici esprimenti quantità si affaccia l’inflazione nel contesto delle relazioni internazionali delle belligeranze russo-ucraino limitanti la ripresa economica associata al recupero del Prodotto interno lordo contratto nel corso del Covid. Tuttavia, l’Istat è dell’avviso che le previsioni per la seconda parte del 2022 continuano a rimanere positive per l’economia e per il mercato del lavoro italiano.
E nel contesto delle “cifre elementari” dell’economia italiana, nell’articolo appena citato di Natale Forlani che incorpora la seconda raccolta di “dati elementari”, sia l’industria che le aziende esportatrici si stanno adattando alle condizioni dei mercati internazionali. Le costruzioni beneficiano delle ristrutturazioni abitative. I servizi, il turismo, la ristorazione le attività ricreative si aspettano una consistente ripresa, persino difficoltà nel trovare personale per soddisfare i fabbisogni. E aspettative certe che vi siano miglioramenti della qualità dei rapporti di lavoro con le assunzioni del pubblico impiego.
I “numeri” segnalati dall’Istat suggeriscono qualche riflessione che sfiorano costanti e certezze come la crescita dell’occupazione femminile e dei giovani sotto il 35 anni da un po’ di tempo con tassi superiori alla media da cui non escono svilita l’affermazione dei contratti a tempo indeterminato tornati talvolta sui livelli precedenti alla pandemia Covid. “Anche se le difficoltà economiche ci sono e diventa necessario leggere gli andamenti strutturali del nostro mercato del lavoro e adottare politiche in grado di sfruttare al meglio le opportunità occupazionali delle costruzioni delle opportunità di ripresa anche del lavoro autonomo, delle nuove partite Iva segnalate anche dalle Camere di commercio. Un segnale di inversione di una tendenza che potrebbe trovare ulteriori conferme nella crescita dei servizi rivolti alle imprese e alle famiglie sull’onda dei processi di digitalizzazione delle organizzazioni del lavoro” osserva Natale, in un vero e gioco di alternanze di giudizi e di visioni, fino ad arrivare ad opposti, sfumati, più acutamente si rileva “l’aspetto. riduzione della popolazione occupata nella fascia centrale di età tra i 35 e i 49 anni (-70 mila nel corso dell’ultimo anno), dove convenzionalmente si concentra l’ossatura portante dei mestieri e delle professioni del mercato del lavoro, motivata dal mancato ricambio generazionale che ha assunto dimensioni consistenti nel corso degli ultimi 15 anni” Sullo sfondo c’è un cambio di passo, rappresentato da una riconversione degli approcci valoriali e degli investimenti formativi in relazione ai fabbisogni professionali, rappresenta la condizione per affrontare una transizione economica fondata su un maggiore utilizzo delle tecnologie che comportano vantaggi in termini di produttività e di potenziali incrementi salariali, ma anche una rapida obsolescenza delle competenze. Importantissima la considerazione di Forlani “Una criticità che dovrebbe essere affrontata con determinazione evitando le polemiche sterili sulla precarietà del lavoro, e che trascurano il fatto che buona parte dei profili irreperibili riguarda attività che vengono regolarmente remunerate e adeguatamente svolte da milioni di lavoratori”.