La questione italiana: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

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Per l’Italia la settimana appena terminata può essere paragonata al noto bicchiere: non si riesce mai a stabilire se bisogna definirlo mezzo pieno o mezzo vuoto. Non è un dubbio amletico, ma una giusta riserva quando ci si avvicina a commentare quanto è successo in quei giorni, sia fuori che dentro i patri confini. In effetti la trasferta della Premier Meloni a Bruxelles certamente non può essere definita una mossa messa a segno con precisione da orafo, in grado di dare una svolta drastica ai destini sia della UE che del Paese. Procedendo con ordine, una parte consistente delle motivazioni che hanno fatto si che Orban, con uno stratagemma- è uscito dall’ aula al momento della votazione sull’ ammissione dell’ Ucraina alle UE- non ponesse il veto, è stato il risultato dell’opera di mediazione vis a vis messa in atto dalla Premier italiana nei riguardi del Presidente ungherese. Certamente il fatto spiana la strada a un allargamento della UE verso est, anche perchè analogo trattamento è stato riconosciuto alla Moldavia, così legittimata anche essa a entrare nella Casa Comune. Per ciò che interessa il Paese, il carniere della Signora Primo Ministro non ha dovuto sopportare il carico di grandi prede. Una di esse, il Fondo per l’accoglienza dei Profughi, è senz’altro considerevole e è una specie di sorpresa perchè, non attesa, si è concretizzata la disponibilità di 10 miliardi di euro. Per le altre vicende che toccano da vicino il Paese, come la reintroduzione del Patto di Stabilità e l’adesione al MEF, resta tutto sub iudice: il primo sarà oggetto di discussione all’ Ecofin che avrá inizio il 20 di questo mese, cioè la settimana prossima. Più fumoso il termine entro cui chiudere la seconda vicenda, ammesso che si arrivi a farlo. Fin qui la politica, ora è opportuno prendere in considerazione i fatti della settimana scorsa che hanno presa pressocchè immediata sugli italiani. Sono due le serie di dati e indicazioni che dovrebbero lasciare intendere a che punto sia la partita tra la popolazione e la crisi, nel senso più ampio del termine, che attanaglia il paese. Ancora una volta è necessario evidenziare che si tratta di aggiustamenti poco significativi di dati di per sé al limite dall’ essere considerati irrilevanti. La notizia diffusa dalla Banca d’Italia, che riconsidera quale sarà l’andamento del PIL per i due anni a venire è quella che segue. Nel 2024 il suo incremento si attesterà sullo 0, 7 % invece che sullo 0, 6 %,, mentre quello per l’anno successivo a 0, 8%. Sono dati che aggiungono poco, anzi pochissimo e altrettanto tolgono a quanto la realtà del Paese propone agli italiani. Da una parte l’ ISTAT annuncia che il tasso di inflazione in Italia è al minimo tra i paesi UE, mentre i prezzi si sarebber ridimensionati, addirittura tanto da assestarsi in buona parte sui livelli ante Covid. A tal punto è importante chiarire come istituzioni così importanti quali quelle di riferimento, possano informare gli italiani in maniera non rispecchiante in modo significativo la realtá che li circonda. I loro report, nella migliore delle ipotesi, scontano la distanza temporale di un mese abbondante da quando sono state fatte le rilevazioni elaborate. In tempi normali, quando un evento ha di massima uno standard evolutivo consolidato nel tempo, quel ritardo non inciderebbe granché nella rendicontazione finale. Nell’ ultimo triennio il procedere dei fenomeni e andato avanti senza nessuno schema, per dirla tutta navigando a vista. Malgrado non faccia piacere a nessuno, è necessario constatare che la realtà possa andare ben oltre gli schemi razionali d’uso comune. Un esempio può descrivere meglio di tanti discorsi e grafici quanto sta accadendo in Italia. Andando a fare la spesa, la parrucchiera Ornella di Poggibonsi ha trovato da un mese all’altro rincari vertiginosi, con percentuali di crescita anche a due cifre. Per non chiamare in ballo i prodotti natalizi che, rispetto a quelli dello scorso anno, sono cresciuti fino al 50% in più. Intanto il direttore delle Poste di Melfi ha constatato che salari e stipendi hanno subito, quando si sono realizzati, incrementi minimi, non certo in grado di recuperare il distacco con l’aumento dei prezzi. Mentre la propensione al risparmio resta invariata al livello anti pandemia, due famiglie su tre sono in ritardo con il pagamento del mutuo e fanno fatica per far quadrare il bilancio familiare. Ciò che colma la misura in tale situazione è la ridotta disponibilità del lievito che fa crescere l’economia di ciascun paese: gli investimenti industriali e la loro funzione di aumentare la produzione di beni e servizi. Secondo l’ ISTAT in Italia continuano a decrescere, anche con qualche alternanza, seppure contenuta, dal periodo precedente il Covid. Se non si riuscirà a riavviare, in tempi brevi, la produzione di beni e servizi in quantità tale da creare nuovo capitale, in buona parte da reinvestire, la recessione sarà inevitabile. Per uscirne, le soluzioni al momento non sono nemmeno ipotizzabili, tanto ampio sarebbe il ventaglio delle prospettive negative che si parerebbero contro gli italiani. Una ipotesi più generale può essere invece tracciata subito. Se oggi per guarire il male socioeconomico del Paese è ancora possibile ricorrere a soluzioni di tipo medico, cioè affrontabili con normali prodotti farmaceutici, con il passare del tempo diventerebbe sempre più inevitabile il ricorso a interventi chirurgici, anche demolitori. Si dovrebbe far ricorso a ottimi chirurghi.
Il vero problema allora sarebbe dove trovarli.