di Fiorella Franchini
In un giorno come tanti, l’apparente, tranquilla esistenza del dottor Lorusso, medico da poco rimasto vedovo, si scontra ancora una volta con il carattere turbolento dei suoi due figliastri. Poco dopo, una serie di inspiegabili avvenimenti si verificano in casa sua. Le indagini del commissario Giulio Salvati e della sua squadra non eviteranno il precipitare degli eventi, a partire dall’incomprensibile scomparsa dei due ragazzi, dall’atteggiamento ambiguo della giovane governante, dallo strano comportamento del professionista. Giulio Salvati comincia a scavare nel passato di tutta la famiglia turbando la quiete degli abitanti del quartiere di Montecalvario. Alferio Spagnuolo ha al suo attivo diverse detective fictions e, dunque, non è nuovo alle dinamiche del poliziesco, ma in “Mille motivi per un assassinio” – Robin edizioni – egli utilizza tutti gli elementi principali del genere combinandoli sapientemente in una trama intrigante e suggestiva.
L’elemento fondamentale è la soluzione di un mistero i cui fattori sono presentati in maniera chiara al lettore all’inizio della storia e la cui natura è tale da suscitare una curiosità che viene ripagata durante tutta la narrazione. Infatti la vicenda, che racconta diversi crimini efferati, segue due archi temporali strettamente collegati: nella prima parte l’identità del colpevole è nota sin dall’inizio, quindi l’aspettativa del lettore sarà: come farà la polizia a scoprire chi è l’assassino? In un secondo momento la suspence seguirà un altro interrogativo: chi sarà l’assassino?
Il giallo deduttivo, si fonde a tratti con l’hard boiled nato con i romanzi di Dashiell Hammett verso la fine degli anni venti e poi con quelli di Raymond Chandler nei tardi anni trenta, dove la rappresentazione del crimine, della violenza e del sesso, sono molto realistiche. Ampio spazio ha la presenza, come protagonista, non di un solo investigatore, ma di una squadra di agenti che indaga e risolve i casi in modo corale con dettagliate descrizioni di autopsie e rapporti di medicina legale, della raccolta delle prove e della trascrizione degli interrogatori. Nel giallo di Alferio Spagnuolo si dà molto rilievo alle attività di routine dell’intero ufficio, si valorizzano i vari passaggi e le diverse figure professionali, dagli ispettori agli agenti semplici. È un lavoro di squadra per raggiungere la verità e assicurare i responsabili del crimine alla giustizia. È presente anche una forte componente legata all’azione; l’inseguimento e lo scontro fisico o a fuoco sono degli appuntamenti inevitabili del genere, e alcuni componenti della squadra si troveranno incastrati e a volte braccati dagli stessi assassini.
I poliziotti protagonisti sono mostrati spesso anche nella loro dimensione personale. Le scene che illustrano i rapporti con i colleghi o con i familiari servono ad intervallare quelle dedicate al procedere delle indagini. I tipi psicologici sono vari, ma ben caratterizzati, ognuno ha la propria storia personale, spesso intima, drammatica, difficile; il commissario di polizia Giulio Salvati è saggio, paterno, con un profondo mal di vivere, rispettoso delle regole, ossessionato dalla verità, eppure sempre pronto a moderare l’ardore di chi è più incline a correre rischi terribili e a violare qualche procedura pur di acciuffare il criminale come la vice ispettrice Bruna Greco e l’ispettrice Nadia Morelli , entrambe tormentate dalle proprie problematiche familiari.
Il poliziesco, di solito, non è un genere dove abbonda la verosimiglianza. Nella realtà i corpi di polizia non danno vita ad inseguimenti rocamboleschi per le strade o a sparatorie tra la gente, perché degli innocenti potrebbero venire coinvolti. Alferio Spagnuolo sceglie una strada molto realistica, apparentemente più statica, ma sicuramente più veritiera. La trama delle indagini è una sorta di labirinto in cui si fanno tre passi avanti e due indietro. Non ci sono eroi solitari e tuttofare, la risoluzione del caso è un lavoro di squadra lento e laborioso.
Il poliziesco è un gioco enigmistico:” risolvere enigmistica significa cercare indizi e poi metterli in ordine e incastrarli in modo da ottenere la parola della soluzione” ha detto il famoso Bartezzaghi, “mettere in ordine e incastrare gli indizi” è un’ottima descrizione dell’attività investigativa. Nel lettore cresce l’ammirazione per l’intelligenza dell’indagine. C’è la fiducia nella capacità dei procedimenti logici a risolvere le falle derivate dai comportamenti devianti di una fetta marcia della società. È anche un gioco psicologico: uno dei padri del poliziesco, Chesterton, creatore di padre Brown, a giustificazione dei suoi personaggi “investigatori” ebbe a dire “il romanzo poliziesco è il romanzo stesso dell’uomo”.
C’è, forse, nello scrittore e nel lettore, la necessità di capire le pulsioni distruttive dell’individuo, di intravedere l’animale brutale che si annida in ciascuno di noi. La scrittura, allora, anche quella di Alferio Spagnuolo, si assume il fardello di raccontare il crimine nelle sue profonde connessioni con la realtà della società di massa, indagando le motivazioni complesse che inducono gli individui e i gruppi sociali a delinquere, a lasciarsi travolgere dallo scoppio di aggressività e di rabbia che conduce un soggetto, spesso all’apparenza “normale”, a compiere atti orribili, a dilaniare corpi, a torturare.
La storia offre numerosi spunti di riflessione sul senso della giustizia e sul sentimento del Male, quasi un dialogo sospeso e continuamente riallacciato tra scrittore e lettore. “Si può restare impigliato tutta una vita nella linea sottile tra il bene e il male” sostiene Fabrizio Caramagna. Seguendo la trama è facile rendersi conto che la brutalità si può nascondere ovunque, che non è distinguibile in mezzo alla folla, non ha segni particolari né usa carta d’identità. Il commissario Giulio Salvati sa che chiunque, anche i suoi colleghi, potrebbero trovarsi a essere reclutati per la sua causa, “in servizio effettivo o potenzialmente arruolabili”.
Esiste quasi un contagio del male: ogni delitto sembra irradiarsi, si espande intorno, corrompe le coscienze e si circonda di complici sottratti con la paura o il fascino, può trasformare chi persegue la giustizia in giustiziere.
Oggettività delle indagini, credibilità delle vicende, ricerca psicologica e filosofica, il poliziesco di Alferio Spagnuolo persegue una via non convenzionale, meno commerciale del genere. L’autore evita anche il giallo regionale, tanto di moda in questi anni. Napoli c’è ma è sfumata, oscura, quasi irriconoscibile, in cui si respira un forte senso di solitudine, con quelle strade semideserte, gli edifici con le finestre chiuse, inquietanti, microcosmo di quelle pulsioni sotterranee e incontrollate dell’animo umano. Una città lontana dal folclorismo e dall’olografia, così vicina alla Napoli di Carlo Bernari, “non un paese dell’anima”, bensì “un paese delle anime”.
Anime imprigionate in un romanzo che racconta mille motivi per un assassinio:” …E di che sono fatti i libri? – si domanda Spagnuolo citando ancora Bernari – Di delitti sono fatti. Di assassinii. Di questo parlano i libri”.