Mezzogiorno, cercasi classi dirigenti
Napoli e la continua rivoluzione decapitata

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Di Paolo Savona Tra amici di buona volontà continuiamo a rivolgerci il quesito del perché il Sud in generale Di Paolo Savona Tra amici di buona volontà continuiamo a rivolgerci il quesito del perché il Sud in generale e Napoli in particolare non goda più di una rappresentanza politica efficace, come in passato, quando nei Governi si potevano contare numerosi ministri estratti dai gruppi dirigenti locali. Pare ripetersi una situazione simile a quella seguita alla decapitazione dei gruppi dirigenti dopo la rivoluzione del 1799 e la mente vola a quanto successo dopo l’ondata di mani pulite che ha delegittimato un’intera classe dirigente proprio in un momento geopolitico difficile che invece moltiplicava le necessità di leadership politica. Pur non priva di radici pratiche, la risposta è troppo semplicistica. Quanto meno essa va accompagnata dalla considerazione che i gruppi dirigenti dotati di una forte presa sull’elettorato napoletano e meridionale non avevano aiutato ad emergere forze fresche e, quindi, sono venuti meno al dovere di garantire una loro successione. Sarebbero quindi i veri responsabili. E’ pur vero che la rapidità con cui la loro delegittimazione si è affermata non ha dato tempo per allevare delfini all’altezza del compito e coloro i quali hanno raccolto l’eredità avevano contro la pubblica opinione e la pesantezza della situazione geopolitica e geoeconomica conseguente ai vincoli del Trattato di Maastricht e all’ingresso della Cina nel WTO e, più in generale, all’affermarsi dei paesi arretrati nel mercato globale. Abbiano contato o meno questi fattori, ciò che si deve costatare è che i nuovi gruppi dirigenti sono risultati inadeguati e gli umori della pubblica opinione non li ha certo aiutati nel difficile compito. Perché di umori e non di analisi si deve parlare e le poche voci che tentarono di spiegare ciò che andava accadendo venivano sommerse da un mare di altre voci le quali distoglievano il cittadino comune dai veri problemi che il Paese doveva affrontare. I media hanno le loro colpe dando fiato alle accuse e poco alle terapie. I problemi da affrontare erano legati alla modernizzazione della pubblica amministrazione, del mercato del lavoro, dell’apparato tecnologico e delle capacità imprenditoriali; poiché su questi ritardi sono stati calati, con scarsa lungimiranza e nella speranza che avessero indotto ad affrontare le carenze indicate, vincoli crescenti con trattati europei (come il fiscal compact) liberamente accettati, le parti più deboli della società, quelle che una società giusta deve aiutare a superare, si sono indebolite ancor più. Il Mezzogiorno è caduto in questa morsa infernale. La storia insegna che le società sanno reagire a ogni difficoltà e anche il Mezzogiorno lo ha fatto. Esso si è chiuso, come sostiene il recente Rapporto Censis, in un’area dove il combinato effetto del sommerso, della criminalità e dell’assistenza consente un tipo di sopravvivenza che non sfocia in disordini sociali “di piazza”, come sarebbe comprensibile che accadesse, dato l’attuale livello di disoccupazione e di caduta del reddito pro­capite. Informazioni provenienti da fonte ufficiale indicano che sommerso e criminalità contano per il 47% del PIL meridionale; se aggiungiamo un 30% di assistenza in senso lato, l’economia meridionale presenta un quadro preoccupante. Se questo stato deriva da un’anomalia culturale, vuol dire che l’istruzione e la formazione hanno fallito nel loro compito, insieme all’incapacità dei gruppi dirigenti imprenditoriali, professionali, della cultura e, ovviamente, politici di avere una visione di lungo periodo di dove doveva essere portata la società. Se è invece in re ipsa, nelle cose, vuol dire che mezzo secolo di politiche meridionaliste non hanno modificato né la struttura economica, né quella sociale. Le cose così erano e così sono rimaste. E’ stato quindi commesso un errore di impostazione! Uscire da questa situazione per muovere verso l’integrazione economica e sociale del Mezzogiorno in Europa e nel resto del mondo richiede una visione simile a quella che indusse De Gasperi ad affidare a Vanoni la redazione di un programma di sviluppo del Mezzogiorno e Menichella a chiamare la Banca Mondiale guidata da Eugene Black per affrontare il ritardo economico meridionale. Ovviamente non si tratta di ripetere schemi di intervento che, dopo un periodo di splendore, sono finiti nella macchina infernale degli sprechi e delle inefficienze pubbliche e della corruzione politica, ma affidare a una nuova dirigenza capace, volenterosa e onesta la guida del nuovo corso meridionale. Facile a dirsi, difficile a farsi, anche perché ancora non si forma un gruppo, né si permette che si formi, che si proponga di farlo.